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Joyce e Svevo, lezioni d’inglese con amicizia

La bella e durevole amicizia tra James Joyce ed Italo Svevo: da lezioni d’inglese a discorsi sulla scrittura tout court. E l’incoraggiamento di Joyce a scrivere un nuovo romanzo che diventerà “La coscienza di Zeno”.
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Joyce e Svevo, lezioni d’inglese con amicizia

La bella e durevole amicizia tra James Joyce ed Italo Svevo: da lezioni d’inglese a discorsi sulla scrittura tout court. E l’incoraggiamento di Joyce a scrivere un nuovo romanzo che diventerà “La coscienza di Zeno”.
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Joyce e Svevo, lezioni d’inglese con amicizia

La bella e durevole amicizia tra James Joyce ed Italo Svevo: da lezioni d’inglese a discorsi sulla scrittura tout court. E l’incoraggiamento di Joyce a scrivere un nuovo romanzo che diventerà “La coscienza di Zeno”.
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La bella e durevole amicizia tra James Joyce ed Italo Svevo: da lezioni d’inglese a discorsi sulla scrittura tout court. E l’incoraggiamento di Joyce a scrivere un nuovo romanzo che diventerà “La coscienza di Zeno”.
Nei giorni della Candelora e del centenario dell’“Ulisse” (a proposito: un’ottima traduzione è quella di Alessandro Ceni uscita per Feltrinelli) non tutti hanno ricordato che dietro Molly Bloom potrebbe nascondersi la traduttrice Amalia Popper, mentre Anna Livia Plurabelle, la protagonista femminile di “Finnegans Wake” – opera che radicalizza l’esperienza linguistica di Joyceprende il nome dalla moglie di Italo Svevo, Livia Veneziani, per la sua virtù fonica. James Joyce e Aron Hector Schmitz (Svevo, appunto) si conobbero all’incirca nel 1906 a Trieste. Il primo, emigrato dall’Irlanda, era un giovane e brillante docente della Berlitz School (lì incontrò Amalia), il secondo – già autore di “Una vita” (1892) e “Senilità” (1898) – era impiegato nell’azienda di vernici di proprietà del suocero e necessitava di lezioni d’inglese, non per la Musa sonnecchiante ma per via dei frequenti viaggi di lavoro a Londra. Le ‘ripetizioni’ di Joyce a Svevo diventano a poco a poco discorsi sui vicendevoli libri e sulla scrittura tout court. Racconterà Livia in “Vita di mio marito” (1950): «Fra il maestro, oltremodo irregolare, ma d’altissimo ingegno (conosceva diciotto lingue tra antiche e moderne), e lo scolaro d’eccezione, le lezioni si svolgevano con un andamento fuori dal comune […]. Si parlava di letteratura e si sfioravano mille argomenti». Gli oltre vent’anni di differenza – il triestino era nato nel 1861, mentre il dubliner nel 1882 – sembrano non sentirsi. Tra i due sorge una bella e durevole amicizia, saldata da un ossequioso carteggio (nel corpus delle “Lettere” sveviane recentemente edito dal Saggiatore, a cura di Simone Ticciati, figurano quattro biglietti inediti indirizzati proprio a Joyce) e soprattutto dall’incoraggiamento da parte del giovanotto verso il collega più anziano per la stesura di un nuovo romanzo. Che sarà “La coscienza di Zeno”. Una missiva di Joyce inviata da Parigi il 30 gennaio 1924 (e vergata rigorosamente in italiano) è la miccia che fa esplodere il “caso Svevo”, sino ad allora bistrattato da pubblico e critica: «Caro amico, grazie del romanzo con la dedica. Ne ho due esemplari anzi, avendo già ordinato uno a Trieste. Sto leggendolo con molto piacere. Perché si dispera? Deve sapere ch’è di gran lunga il suo migliore libro. Quanto alla critica italiana non so. Ma faccia mandare degli esemplari a stampa a M. Valéry Larbaud, M. Benjamin Crémieux, Mr T.S. Eliot, Mr F.M. Ford. Parlerò o scriverò in proposito con questi letterati. Potrò scrivere di più quando avrò finito. Per ora due cose mi interessano: il tema: non avrei mai pensato che il fumare potesse dominare una persona in quel modo. Secondo: il trattamento del tempo nel romanzo. L’arguzia non vi manca e vedo che l’ultimo capoverso di “Senilità”, “Sì, Angiolina pensa e piange ecc…” ha sbocciato grandemente alla chetichella. […] Una stretta di mano». Insomma, Joyce era un eccellente talent scout ma possedeva un indiscutibile vantaggio: aveva annusato la frizzante aria triestina, aveva frequentato villa Veneziani ed era certo di aver incontrato all’osteria Mondo Nuovo o al Giardino Pubblico, tra un sospiro e l’altro, Emilio Brentani e Zeno Cosini, perduti nei loro sogni d’amore e compimento.   di Alberto Fraccacreta

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