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L’uomo che volò sul nido del cuculo

Quella di Ken Kesey poteva essere la storia di tanti atleti falliti. Ma seppe andare oltre dando voce ad un talento che altrimenti, molto probabilmente, sarebbe rimasto sopito: la scrittura.

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L’uomo che volò sul nido del cuculo

Quella di Ken Kesey poteva essere la storia di tanti atleti falliti. Ma seppe andare oltre dando voce ad un talento che altrimenti, molto probabilmente, sarebbe rimasto sopito: la scrittura.

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L’uomo che volò sul nido del cuculo

Quella di Ken Kesey poteva essere la storia di tanti atleti falliti. Ma seppe andare oltre dando voce ad un talento che altrimenti, molto probabilmente, sarebbe rimasto sopito: la scrittura.

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Quella di Ken Kesey poteva essere la storia di tanti atleti falliti. Ma seppe andare oltre dando voce ad un talento che altrimenti, molto probabilmente, sarebbe rimasto sopito: la scrittura.

L’America degli anni Cinquanta esce dalla guerra gridando al mondo la propria volontà di potenza. È il Paese delle contraddizioni: sono gli anni del boom economico ma anche quelli della segregazione razziale. In un piccolo paese del Colorado vive un giovane ragazzo: è una promessa della lotta, il suo futuro sembra segnato. Si avverte, neanche troppo lontano, l’eco di futuri applausi e di qualche gloria da regalare al proprio ego. Poi una spalla si rompe e il destino si prende qualche assurda rivincita su speranza e successo. Una storia banale, identica a quelle di centinaia di futuri campioni bruciati dalla nequizia del caso. Ma niente depressione: il ragazzo, figlio di contadini, è forte e sa riconoscere il valore della sconfitta, del dolore, dell’occasione perduta. Ken Kesey inizia a frequentare la scuola di giornalismo dell’Università dell’Oregon e si laurea nel 1957. Scrive racconti. Il primo, “Zoo”, è un testo su una comunità beat; il secondo, “End of Autumn”, un classico romanzo di formazione. Non saranno mai pubblicati: il talento si vede ma ancora non basta. Continua a scrivere ma intanto, per guadagnarsi da vivere, lavora all’ospedale per veterani di Menlo Park. Questa esperienza gli cambierà la vita. Decide di prendere parte, come volontario, a uno studio della Cia sugli effetti sulla mente umana delle sostanze psicoattive. Proverà Lsd, mescalina, cocaina. Nel 1962, rielaborando gli incontri con i pazienti dell’ospedale, scrive il suo primo romanzo: è ambientato in un ospedale psichiatrico dell’Oregon tra inguaribili malati segregati dalla perfida ‘Grande infermiera’ e un ribelle irlandese che cerca di risvegliarli dal torpore delle terapie. Il libro si chiama “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e il suo successo è clamoroso. Kesey abbandona Stanford e si trasferisce nella cittadina californiana di La Honda. Qui inizia la seconda parte della sua vita, da film americano. Diventa un guru, trascorre le giornate tra scrittura e organizzazione di acid test, interminabili serate di sperimentazione a base di Lsd. Nel 1964 pubblica “Sometimes a Great Notion” e per il lancio del libro attraversa gli Stati Uniti su uno scuolabus insieme a un gruppo di amici. Si fanno chiamare “i Marry Pranksters” e arrivano a New York dopo ore di sperimentazioni lisergiche e artistiche. A guidare è lo scrittore Neal Cassady. Kesey passa le serate con Kerouac, Allen Ginsberg e Timothy Leary. Viene arrestato per possesso di marijuana. Dopo mille peripezie, un finto suicidio per seminare la polizia, la fuga in Messico e cinque mesi di carcere decide di tornarsene in Oregon. Morirà di tumore il 10 novembre 2001. di Francesco Rosati

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