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Tornava in Italia solo per comprare la verdura

Giuseppe Prezzolini, il fustigatore dei compatrioti. L’Italia non gli piaceva, tanto da viverne per parecchio tempo lontano. O, meglio, non gli piacevano gli italiani.
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Tornava in Italia solo per comprare la verdura

Giuseppe Prezzolini, il fustigatore dei compatrioti. L’Italia non gli piaceva, tanto da viverne per parecchio tempo lontano. O, meglio, non gli piacevano gli italiani.
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Tornava in Italia solo per comprare la verdura

Giuseppe Prezzolini, il fustigatore dei compatrioti. L’Italia non gli piaceva, tanto da viverne per parecchio tempo lontano. O, meglio, non gli piacevano gli italiani.
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Giuseppe Prezzolini, il fustigatore dei compatrioti. L’Italia non gli piaceva, tanto da viverne per parecchio tempo lontano. O, meglio, non gli piacevano gli italiani.
L’Italia non gli piaceva, tanto da viverne per parecchio tempo lontano. O, meglio, non gli piacevano gli italiani. Giuseppe Prezzolini, saggista e giornalista dalla lingua biforcuta e dalla penna al vetriolo, ne fustigò vizi e (mal)costumi. Divideva gli italiani in due categorie: «i furbi» e «i fessi». Riconosceva che il Paese andava avanti grazie ai ‘fessi’, che «lavorano, pagano, crepano», mentre «i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono» si appropriano dei meriti. Così nel “Codice della vita italiana”, un opuscolo di fulminanti aforismi sulla Penisola e i suoi connazionali pubblicato nel 1921. Tracciare il profilo di Prezzolini in poche righe è compito arduo perché visse cent’anni attraversando la storia culturale e politica dell’Italia; è però facile perché nelle diverse esperienze maturate e posizioni assunte – anche contraddittorie, almeno apparentemente – vi è un comune denominatore: l’inesauribile vena polemica. Caustico e pungente, dava il meglio di sé nei giudizi taglienti e provocatori. Detestava l’opportunismo e il conformismo che sempre hanno afflitto gli italiani. Era un liberale disilluso e si definiva «anarchico conservatore». Nella storia della letteratura italiana il suo nome figura accanto a quello di Papini per avere fondato insieme nel 1908 la rivista “La voce”, che ebbe vita breve ma fu un punto di riferimento nel dibattito culturale e politico italiano e un pungolo per la pigra borghesia: tra gli altri vi scrissero Salvemini, Croce, Gramsci ed Einaudi. Prezzolini fu interventista nel primo conflitto mondiale e antifascista della prima ora malgrado fosse stato amico del giovane Mussolini dell’“Avanti”. Nel 1922, con toni profetici, scrive nel suo diario: «Il fascismo è un bolscevismo alla rovescia che dominerà per tutta una generazione e dal quale non ci libererà altro che un disastro nazionale». Nello stesso anno propone a Gobetti per la “Rivoluzione liberale” di fondare la “Congregazione degli Apoti”, cioè di «coloro che non le bevono». Il suo proposito di rimanere spettatori critici dinanzi al caos politico (un mese dopo si assisterà alla marcia su Roma) non piace all’amico, che ritiene urgente – e ha ragione – intervenire nell’agone politico. Negli anni del fascismo Prezzolini è esule in Francia e poi in America, dove rimarrà a lungo: vive in una soffitta, insegna alla Columbia University di New York e scrive «articoli alimentari» (li chiama così perché arrotondano i suoi magri guadagni). Alla fine degli anni Sessanta si trasferisce a Zurigo. L’Italia si ricorda di lui solo quando, superati i 90 anni, stupisce per longevità e lucido pessimismo corretto da lieve ironia. Papa Montini tenta di convertirlo, ma invano: unico esito, un saggio dal titolo pascaliano “Dio è un rischio”. Poco prima di spegnersi centenario (era nato il 27 gennaio 1882), Pertini gli consegna la “Penna d’oro” e lo invita a tornare in patria. Ma l’Italia non gli manca: vi ritorna ogni tanto per comprare la verdura.   di Antonino Cangemi

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