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Industria e genio, per cancellare la nostalgia

Un’incredibile concentrazione di genialità italica ritratta in una foto del 1985 davanti al Duomo. Nomi che hanno segnato il mondo della moda a livello internazionale. Ripetere questo è impossibile, ma si può scrivere un nuovo capitolo dell’industria della moda italiana.
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Questa è una foto eccezionale, il Rinascimento della moda. Da sinistra verso destra – sullo sfondo del Duomo della Milano ‘da bere’ del 1985 – sorridono Laura Biagiotti, Mario Valentino, Gianni Versace, Krizia, Paola Fendi, Valentino Garavani, Gianfranco Ferrè, Mila Shon, Giorgio Armani, Ottavio Missoni, Franco Moschino e Luciano Soprani. È come se nella Firenze del Quattrocento e Cinquecento avessimo messo uno a fianco all’altro i geni che rivoluzionarono le arti figurative, dando un impulso all’evoluzione dell’idea stessa di arte che di fatto è arrivata fino a noi. Michelangelo, Leonardo e Raffaello non avevano a disposizione la fotografia, che è stato il vero motore capace di evolvere il piccolo e autoreferenziale mondo della moda in quel fenomeno globale che accompagna oggi l’evoluzione del costume.

Quell’incredibile concentrazione di genialità italica ritratta in foto trasformò le sarte e i sarti, la loro sopraffina artigianalità, nei leggendari brand di oggi. Tutti, nessuno escluso, contribuirono a fare del nostro Paese il faro della bellezza e dell’eleganza dell’ultimo scorcio del XX secolo e di questo inizio di millennio. Una storia magnifica, per quanto non priva di tragedie personali, rimpianti, ascese vertiginose e cadute malinconiche. Quello che non va fatto, davanti a uno scatto del genere, è farsi prendere dalla nostalgia. Non ha senso rimpiangere l’unicum della Firenze rinascimentale o della Milano che riscrisse l’essenza della moda negli anni Ottanta. Certe cose non tornano, perché sono figlie di un concatenarsi di eventi e circostanze per loro natura irripetibili.

Il genio non si programma a tavolino, eppure una lezione di fondo bisogna avere il coraggio di richiamarla: quei nomi – quei brand – sono ancora tutti in auge, capaci ciascuno a suo modo di interpretare l’evolvere di gusti e tendenze. La maggior parte di loro non è più in mani italiane. Abbiamo completamente mancato la capacità di sviluppo industriale di una genialità rivoluzionaria. In questo i francesi ci hanno dato durissime lezioni, realizzando dei poli nel mondo del lusso e dell’alta moda senza pari. Una lezione utile a tutto il nostro sistema economico, che si è crogiolato troppo a lungo nella convinzione di poter restare indifferente ai temi, strettamente connessi fra loro, delle dimensioni e delle concentrazioni aziendali.

Al di là dei sorrisi, ciascuna donna e ciascun uomo ritratto in quella foto a Milano era intimamente convinto di essere il numero uno. Non c’è nulla di male, sia chiaro, anche perché la consapevolezza della propria unicità è parte dell’incredibile forza sprigionata da quella stagione. Detto ciò, non esattamente la condizione psicologica ideale da cui partire per fare ‘sistema’. Il genio, dicevamo, non si programma e neppure si imbriglia, ma anche al genio è sacrosanto chiedere di creare una scuola. Un’idea di futuro, che possa sopravvivere all’irripetibile. Viviamo una stagione di opportunità e ricca di speranze, alimentate da grandi capitali a disposizione. Si può scrivere un nuovo capitolo dell’industria della moda italiana, magari appendendo quella foto al muro. Per spingerci a riprovare, evitando gli errori che la fanno apparire un po’ troppo un amarcord felliniano.

 

di Fulvio Giuliani

 

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