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La libertà vestita e ciò che Ornella Vanoni ci lascia oltre la moda

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Ornella Vanoni è un’altra icona che è andata via. Ma perché rimpiangiamo così tanto queste figure del passato? Ci sono personalità che ritornano anche quando non appartengono più al nostro tempo. E lei è una di queste

Ornella Vanoni

La libertà vestita e ciò che Ornella Vanoni ci lascia oltre la moda

Ornella Vanoni è un’altra icona che è andata via. Ma perché rimpiangiamo così tanto queste figure del passato? Ci sono personalità che ritornano anche quando non appartengono più al nostro tempo. E lei è una di queste

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La libertà vestita e ciò che Ornella Vanoni ci lascia oltre la moda

Ornella Vanoni è un’altra icona che è andata via. Ma perché rimpiangiamo così tanto queste figure del passato? Ci sono personalità che ritornano anche quando non appartengono più al nostro tempo. E lei è una di queste

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Ornella Vanoni è un’altra icona che è andata via, esattamente una settimana fa. Ma perché rimpiangiamo così tanto queste figure del passato?

Ci sono personalità che ritornano anche quando non appartengono più al nostro tempo, e lei è una di queste.

L’eco emotiva che ha accompagnato la sua scomparsa non parla solo di lei, dice molto anche di noi.

Le icone come lei funzionano proprio perché erano incoerenti e imperfette al tempo stesso, dunque autentiche.

Oggi facciamo sempre più fatica a gestire questo tipo di libertà, come se la contemporaneità non riuscisse più a considerare l’irregolarità un valore, più spesso la interpreta come una una sorta di deviazione da mantenere sotto controllo.

Guardare Ornella Vanoni come icona di stile significa capire che la moda, per lei, era una forma di autobiografia non di brand ambassador.

Agli esordi jazz indossava linee essenziali e colori netti.

Negli anni della mala – ruvidi, teatrali, milanesi – il corpo diventava più narrativo, più dichiarato.

Poi arrivano gli anni di “Senza fine” e “Domani è un altro giorno” la voce sembra arrotondarsi e con lei anche i volumi degli abiti, che sembrano con i tessuti seguirne il timbro.

Gli anni Ottanta le regalano invece l’ironia più potente, quando Ferré la trasforma in scultura e Versace la accende di metallo vivo, come se il suo corpo fosse una dichiarazione di spavalderia e gioco.

Lei stessa scherzava di essere la prima vittima del metallo.

Non subiva lo stile imposto dagli stilisti come un manifesto, lo attraversava semplicemente restando se stessa.

Non sorprende che abbia scelto proprio Dior per l’ultimo saluto, un modo suo, intimo di affermare ancora una volta chi era.

Ed è proprio leggendo il suo stile che si capisce quanto la libertà fosse il suo vero potere.

Una libertà che oggi, paradossalmente, fa quasi paura.

L’episodio con Gianni Versace — quando lei gli chiedeva di coprirla un po’ di più e lui rispondeva ridendo: “a me piace vestire le zoccole se vuoi vestirti da monaca vai da Romeo Gigli o da Armani” — non era una mancanza di rispetto verso di lei o gli altri stilisti.

Oggi lo leggeremmo così, certo ma era solo un frammento di un mondo in cui ironia, glamour e teatralità convivevano senza dover essere continuamente giustificate.

A ridere erano in due e non serviva dimostrare da che parte stare: quello si definiva altrove.

Da questi dettagli apparentemente leggeri esplode la distanza con il presente.

La moda dimostra ancora una volta di non essere solo vestiti ma linguaggio.

Oggi ogni gesto pubblico deve essere leggibile, pedagogico, impeccabile, politicamente coerente ed emotivamente validato.

La spontaneità è diventata un rischio calcolato capace di incrinare un’intera reputazione.

Persino l’incoerenza, che appartiene a tutti, viene letta come un bug da correggere non come una componente inevitabile del codice umano.

Eppure Ornella Vanoni non era un’eccezione.

Mariangela Melato anticipava l’estetica post-genere con una naturalezza feroce.

Anna Magnani rifiutava il trucco non per fare “body positivity”, ma perché non aveva intenzione di aggiungere strati alla propria realtà.

Raffaella Carrà ha costruito il pop senza costruirsi un personaggio.

Sophia Loren non si è mai proclamata icona femminista “terrona”, lo era a modo suo e basta.

Ciò che resta evidente è questo, erano donne la cui vita era più larga della percezione degli altri.

Non è che non esistano più figure così, è che non esiste più un sistema culturale disposto a lasciarle essere volatili, contraddittorie, umane.

Alla fine, ciò che ci manca non sono solo le icone che ci lasciano, ma anche la possibilità di tollerare di nuovo la complessità, l’imperfezione e l’errore.

La scomparsa di Ornella Vanoni ci costringe a guardare con un po’ più di dolcezza la parte disordinata di noi stessi, a lasciare spazio ai cambi di direzione e alla leggerezza che abbiamo sacrificato per sembrare infallibili.

Così per la moda e per ciò che rappresenta.

La bellezza, quella vera, vive anche nei margini e soprattutto nelle contraddizioni.

È lì che si muovevano Ornella Vanoni e le dive come lei ed è lì che continuiamo a cercarla, anche quando non vogliamo ammetterlo.

di Serena Parascandolo

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