Il mito della tintarella e i guai all’epidermide
Il mito della tintarella e i guai all’epidermide. Dietro la luce dorata dei ricordi di quello che è stato un costume sociale, ora si palesano le ombre dei danni provocati alla nostra pelle
Il mito della tintarella e i guai all’epidermide
Il mito della tintarella e i guai all’epidermide. Dietro la luce dorata dei ricordi di quello che è stato un costume sociale, ora si palesano le ombre dei danni provocati alla nostra pelle
Il mito della tintarella e i guai all’epidermide
Il mito della tintarella e i guai all’epidermide. Dietro la luce dorata dei ricordi di quello che è stato un costume sociale, ora si palesano le ombre dei danni provocati alla nostra pelle
Non è passata troppa acqua salata sotto i ponti da quando l’estate era mare, spiaggia e tanta voglia di abbronzatura selvaggia. “Vorrei la pelle nera” e “Abbronzatissima sotto i raggi del sole” erano i tormentoni musicali in quelle giornate calde; mentre gli amici divulgavano consigli sui prodotti da utilizzare per raggiungere l’obiettivo in tempi brevi. L’olio al mallo di noce era il più gettonato: un prodotto naturale ricavato dal guscio verde della noce che scuriva la pelle, regalando quell’effetto bronzeo che oggi farebbe inorridire qualsiasi dermatologo. Seguivano l’olio di cocco, importato dai Paesi asiatici, quello a base di carotene stimolante i melanociti e quello ricco di paraffina liquida. Non mancava chi si cospargeva la pelle di birra (alcuni la mescolavano all’olio d’oliva), seguendo la credenza popolare che considerava il luppolo un acceleratore nella produzione di melanina, con effetto prolungante sull’abbronzatura dorata.
Ogni rimedio – artigianale e non – a quei tempi appariva adatto a quell’unico scopo, perché l’abbronzatura era considerata un simbolo di salute, vitalità e seducente bellezza. A testimoniare tale cultura rimangono i corpi anneriti e lucidati dagli oli sulle copertine delle riviste, nei video musicali degli anni Ottanta e nei testi di alcune canzoni che esaltano il mito tropicale del corpo esposto al sole, senza alcun timore. E quando di sera la pelle ‘tirava’ sulle spalle, sul naso e sulle parti più esposte, bastava una crema idratante da spalmare con soddisfazione, perché si era vicini all’obiettivo estetico.
Dietro la luce dorata dei ricordi di quello che è stato un costume sociale, si palesano nel presente le ombre dei danni provocati al nostro ‘abito’ naturale. Perché, a differenza di ciò che si riteneva in quei tempi, la pelle è dotata di una buona memoria. E chi ha vissuto gli anni dell’abbronzatura selvaggia, oggi se li porta tutti addosso come tatuaggi involontari e indelebili. L’esempio più diffuso è il foto-invecchiamento: pelle anelastica, spenta e rugosa, segnata da macchie solari, nei, nevi, ipercheratosi e cheratosi attinica (lesione precancerosa). Poi ci sono i danni da immunodepressione, locali e sistemici, che espongono alle infezioni. E i problemi oculari, quali cataratta precoce e degenerazione maculare. I trattamenti dermoestetici con l’utilizzo di laser, crioterapia e peeling chimici possono attenuare i danni cutanei visibili, ma non annullano il danno cellulare.
Secondo l’American Academy of Dermatology, i casi di melanoma e degli altri tumori cutanei meno aggressivi insorgono con maggiore frequenza in coloro che, fino agli anni Novanta, hanno inseguito il mito dell’abbronzatura selvaggia. Le cellule impiegano del tempo per cumulare un numero sufficiente di mutazioni genetiche prima di trasformarsi in cancerose: il processo è lungo e silenzioso. L’Associazione italiana registri tumori (Airtum) e l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) dichiarano che ogni anno in Italia si registrano oltre 12mila casi di melanoma, nati da nei già presenti o da nuove lesioni con caratteristiche specifiche: bordi irregolari, forme asimmetriche e variazioni cromatiche, spesso pruriginose. Nell’era della consapevolezza, le campagne dermatologiche raccomandano controlli periodici specialistici, l’auto-ispezione della propria pelle e l’utilizzo costante di mezzi chimici e fisici che proteggono dai raggi ultravioletti.
La cultura dell’abbronzatura ha lasciato il segno su intere generazioni. Nell’era della nuova consapevolezza esistono strumenti di protezione efficaci, ma occorre un’educazione continua alla prevenzione per contrastare i danni già in atto e quelli futuri, anche in relazione al cambiamento ambientale globale. Sono passati quindi i tempi delle sabbiature e delle gare a chi diventava più scuro. La pelle non dimentica e non perdona chi le ha fatto del male. E cosa ci ha insegnato? Che averne cura è un gesto d’amore e non di rinuncia.
Di Elvira Morena
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