Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim
Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim: un bivio tra amore e crisi climatica
Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim
Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim: un bivio tra amore e crisi climatica
Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim
Al cinema “Eternal – Odissea negli abissi” del regista danese Ulaa Salim: un bivio tra amore e crisi climatica
Un bivio tra amore e crisi climatica. È il punto di partenza di “Eternal – Odissea negli abissi”, secondo lungometraggio del danese Ulaa Salim che – come un sismografo dell’anima – registra la frattura tra quel che siamo e quel che avremmo potuto essere. Un viaggio che non guarda alle stelle ma al fondale oceanico, dove una crepa nella crosta terrestre diventa specchio delle scelte imperfette.
Il giovane climatologo Elias (interpretato da Simon Sears) è innamorato della cantante Anita (Nanna Øland Fabricius). Un amore giovane e vitale, nato tra concerti e sogni, che viene reciso da un’occasione: una missione scientifica per indagare un’anomalia nel fondale dell’oceano. Elias è a un incrocio e sceglie la carriera. Anni dopo, ormai adulto e padre mancato, torna in quel luogo dimenticato dalla luce ma non dal tempo. E lì, in un sottomarino più simile a una bara siderale, ha la visione di una vita mai vissuta. Inizia così un altro viaggio, ma interiore: un’odissea senza Troia né Itaca, ma piena di “what if…”.
Salim costruisce il suo film come un sogno in apnea, mescolando fantascienza e intimismo con ambizione kubrickiana. I richiami a “2001: Odissea nello spazio” e “Solaris” di Tarkovskij sono espliciti, ma filtrati da un’estetica nordica elegante, a volte manierata. Ma tra i due si inserisce pienamente “Sliding Doors” di Howitt (con Gwyneth Paltrow). In “Eternal” la narrazione procede per ellissi e ripetizioni, come se cercasse di trattenere l’attimo in eterno. Il ritorno costante al momento perduto tra Elias e Anita, invece di intensificare la tensione emotiva, la stempera. E l’amore è quasi più visto come ossessione che come trasformazione. Il lato catastrofico del film – la minaccia ambientale della frattura nella Terra – resta sullo sfondo e non è realmente esplorato con la forza visiva e narrativa che meriterebbe. Se “Armageddon” (riferimento imprescindibile se si parla di amore e missioni) aveva il suo modo eccentrico di salvare il mondo, “Eternal” sussurra così per salvarsi dentro.
Visivamente, le immagini fredde e fluttuanti – sature di una malinconia luminosa che sembra sgorgare dai ghiacciai dell’anima – sono accurate, così come i club scandinavi, le viscere oceaniche, i silenzi tra due amanti: tutto è ben composto, anche se spesso simile a un videoclip musicale d’autore, finendo col soffocare l’emozione. Il film riesce comunque a toccare corde profonde. I temi del tempo, del rimpianto, della paternità attraversano la pellicola come correnti sottomarine. Il personaggio di Elias non è un eroe né un martire: è un uomo imperfetto, a volte egoista, sempre in ritardo sulla vita. In lui e nei suoi errori si trovano fratture e profondità di ogni uomo. Nell’interpretarlo, Simon Sears è intenso e non per forza piacevole e simpatico. E questo è un punto di merito del regista. Mentre Nanna Øland Fabricius porta grazia e malinconia alla figura di Anita, voce e corpo di un amore impossibile. I giovani interpreti Frandsen e Hjelmsøe portano invece nei flashback la naturalezza luminosa di un amore iniziale che ancora non conosce rimpianto.
Il regista Salim, figlio di un’Europa che oggi tenta nuove forme di fantascienza, miscela registri cinematografici distanti: disastro e intimità, scienza e memoria. Ma, come il suo protagonista, anche lui sembra perdersi nella profondità di ciò che vuole esplorare. Il risultato è un’opera affascinante che privilegia in alcuni momenti la forma alla sostanza, l’atmosfera alla narrazione. “Eternal – Odissea negli abissi” pone domande: si può tornare indietro? Recuperare quel che si è perso o imparare a convivere con il vuoto? La risposta non va cercata nei fondali della Terra ma nello specchio. È in quel riflesso, come nel film, che si agitano i nostri abissi.
Di Edoardo Iacolucci
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