“Amazing Grace”, storia di un successo natalizio
“Amazing Grace”, storia di un successo natalizio
“Amazing Grace”, storia di un successo natalizio
È stato a dir poco straniante, nel Natale 2009, ascoltare “Adeste Fideles” (“O’ Come All Ye Faithful”) dalla voce crocidante di Bob Dylan: l’album è “Christmas in the Heart”, il trentaquattresimo in studio del vate di Duluth, che negli anni Ottanta – com’è noto – si era convertito al cristianesimo (forse solo per un breve periodo). Fin dall’infanzia nel profondo Minnesota, Dylan si è sentito parte dell’atmosfera natalizia e ha voluto, come tanti altri grandi cantautori, omaggiare questo momento della vita collettiva così ricco di speranze e proponimenti.
A dir la verità, negli Stati Uniti la canzone che più è associata al Natale è “Amazing Grace”, scritta dal poeta e sacerdote anglicano John Newton nel 1772, apparsa negli “Olney Hyms” e infine adattata nel 1835 dal compositore William Walker sulla melodia “New Britain”, probabilmente di origine irlandese. Da inno cristiano, “Amazing Grace” è diventato nel Novecento un pezzo di culto, che oggi è eseguito in tutte le salse almeno dieci milioni di volte all’anno, secondo le stime di Jonathan Aitken.
“Amazing Grace” è alla base del gospel ed è stata eseguita dai maggiori interpreti del rhythm and blues. Il significato del testo è intimamente legato alla storia personale di Newton. Originario di Wapping, un quartiere londinese, John sin da giovane fu ingaggiato nell’equipaggio delle navi che si occupavano del commercio degli schiavi. Lui stesso fu venduto come schiavo e costretto a lavorare in una piantagione in Sierra Leone. Dopo la liberazione salì a bordo del “Greyhound”, facendosi conoscere per la sua dissolutezza verbale, per l’empietà e per l’aperta ostilità nei confronti di chi professava la fede. Nel marzo del 1748 una tempesta si abbatté sulla nave mentre veleggiava nell’Atlantico settentrionale; Newton ricorda nelle sue memorie di aver pronunciato a gran voce: «Signore, abbi pietà di noi!».
A seguito di un viaggio tortuoso durato settimane, il “Greyhound” sbarcò nel fiordo di Lough Swilly in Irlanda e John pensò a lungo alla sua inaspettata esclamazione. Sì, proprio a lungo: perché passò parecchio tempo prima che, divenuto curato a Olney, fosse sostenitore dell’abolizione della tratta degli schiavi. In quel periodo vergò, assieme ad altri inni, “Amazing Grace”: «Grazia meravigliosa! (quanto è dolce il suono) / Ha salvato un peccatore come me! / Una volta ero perduto, ma ora sono ritrovato, / ero cieco, ma ora vedo. // È stata la grazia che ha insegnato al mio cuore a temere, / ed è stata la grazia ad alleviare le mie paure. / Quanto preziosa appariva quella grazia / nell’ora in cui ho creduto per la prima volta!».
In questi versi riecheggiano vibratili suggestioni dalla Lettera agli Efesini di san Paolo, dal primo libro delle Cronache e dall’“Imitazione di Cristo” di Tommaso da Kempis che giocarono un ruolo fondamentale nella conversione di Newton, il quale fece incidere sulla sua lapide: «John Newton, ecclesiastico, un tempo un infedele e un libertino, servo degli schiavisti in Africa, fu, per grazia del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, conservato, redento, perdonato e inviato a predicare quella fede che aveva cercato di distruggere». Morì nel 1807, l’anno in cui di fatto era stata abolita la tratta degli schiavi. Un consiglio: per Natale ascoltiamo “Amazing Grace” nella versione del gruppo irlandese Celtic Woman.
di Alberto Fraccacreta
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Tag: Evidenza, spettacoli
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