Sotto il palco del Boss Bruce Springsteen
Sotto il palco del Boss Bruce Springsteen
Sotto il palco del Boss Bruce Springsteen
Se c’è un detto comune che gira tra i fan è che il mondo si divida in due categorie: chi ama Bruce Springsteen e chi non lo ha visto dal vivo. Se lo incroci per strada, Bruce è una persona normale, per niente stravagante: alto 1,70 circa, i segni dell’età evidenti oramai sul viso, i capelli brizzolati; certamente anche un rocker, con orecchini, giacca di pelle d’ordinanza e occhiali da sole tra il vintage e il cool. Ma quando questo ‘vecchietto’ di 73 anni sale sul palco – come ha ripreso a fare 7 anni dopo “The River Tour”, superando le aspettative di tutti quelli che lo dichiaravano incapace di gestire alla sua età una tournée mondiale – e hai la fortuna di assistere a questo momento, saprai di essere spettatore di una incredibile trasformazione.
La persona normale che è nella vita di tutti i giorni, che vive nel suo paese di nascita, che quando ha voglia va a prendersi un gelato al Jersey Freeze e ad allenarsi nella palestra più vicina a casa, si trasforma in una presenza che stordisce anche chi, in quello stadio, è seduto nel posto più distante. Tutti arresi al fatto che, nella propria vita, c’è un prima e un dopo un suo concerto. Se sei sotto al palco, poi, le emozioni arriveranno a travolgerti. Così a ogni concerto circa mille persone ambiscono a stare lì davanti, proprio dove lui arriva, incrocia il tuo sguardo e ti sorride, scambia la sua armonica con la tua, lì dove la connessione è più forte. Mille persone che, dopo aver investito una (buona!) parte dei propri guadagni nell’acquisto di un biglietto di ingresso nella Pit-Area, giorni prima si organizzano nelle cosiddette roll calls: un sistema gestito da fan volontari che assegnano – a partire da circa 5 giorni prima la data del concerto e scrivendolo sulla mano – un numero che stabilisce l’ordine di ingresso, assegnato a seconda dell’arrivo nella location.
Il concerto è domenica? Se arrivi il mercoledì prima hai una buona probabilità di entrare tra i primi 50. E da quel momento inizia il Sabato del Villaggio nell’attesa di Bruce; per tre volte al giorno, quando arriva il tuo turno, dovrai presentarti all’appello e dichiarare il tuo nome. E se non ci sei, sei tagliato fuori dalle prime file. Tutto questo fino al giorno del concerto, dove dopo l’appello delle 13.00 circa devi rimanere in coda e attendere l’ingresso allo stadio. Una completa autogestione messa in pratica già nei precedenti tour e che garantisce – a chi ha il tempo e la possibilità di dedicarcisi – anche ai fan più anzianotti di evitare gli accampamenti notturni o le lunghe code all’alba. Perché è ovvio che il popolo del Boss non è fatto da energici ventenni ma da gagliardi 50enni se non da persone ancora più anziane e che i millennial rappresentano un’eccezione. Per Bruce domenica 7 maggio a Dublino ho visto fare questa trafila anche a persone che si accompagnavano a un bastone, a donne incinte, a uomini e donne con problemi di mobilità, persino a qualcuno che veniva dall’Australia o dal Canada.
Lo sappiamo: Springsteen non è più quello di San Siro nel 1985, non è nemmeno quello del 2016 e chi si aspetta quel tipo di concerto non lo troverà. È uno Springsteen più maturo, che si è messo a nudo nel suo spettacolo di Broadway, un uomo di 73 anni che comincia a vivere sulla propria pelle le più grandi paure: della morte innanzitutto, come canta in “The Last Man Standing”. Sa che non può aspettarsi una performances pensierata; ma sa che troverà la stessa energia, carisma, carica emotiva, bisogno di connessione di sempre. Sa anche che, seppure a modo suo, sarà una celebrazione dell’essere vivi. E noi, Bruce, siamo proprio felici di riaverti qui. See you further on up the road.
di Giulia RealeLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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