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Cinema e Festival un simbolo di qualità

Venezia 79 si candida a diventare una delle rassegne migliori degli ultimi vent’anni. E se ne parla troppo poco!

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Venezia 79 si candida a diventare una delle rassegne migliori degli ultimi vent’anni. E se ne parla troppo poco!

Cinema e Festival un simbolo di qualità

Venezia 79 si candida a diventare una delle rassegne migliori degli ultimi vent’anni. E se ne parla troppo poco!
Venezia 79 si candida a diventare una delle rassegne migliori degli ultimi vent’anni. E se ne parla troppo poco!
Il tafazzismo è un problema soprattutto italiano. Cercare sempre la polemica, lo scontro, è un pregio nostrano. E spesso dimentichiamo il grande valore delle nostre maestranze. Si parla poco, troppo poco, dello straordinario lavoro svolto da Alberto Barbera e dai suoi collaboratori per la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel giro di pochi anni, infatti, il Festival ha raggiunto e superato Cannes per qualità e attrattività, nonostante le immarcescibili e stucchevoli diatribe. Dal troppo spazio riservato alle major all’eccessivo eclettismo, fino all’immancabile protesta per l’assenza delle quote rosa in concorso. Come se imporre il 50 per cento di film diretti da donne in concorso risolvesse un disagio che riguarda principalmente l’accesso ai finanziamenti. Insomma, per rompere le scatole va bene qualsiasi cosa. La verità è soltanto una: Venezia 79 si candida a diventare una delle rassegne migliori degli ultimi venti anni. Una finestra aperta sul mondo, in grado di intercettare il meglio di quello che il cinema di oggi offre. Un programma poliedrico che tiene conto delle diversità e che esplora territori nuovi, senza rinunciare al glamour. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, a 90 anni dalla sua fondazione, segnala le novità più interessanti che prefigurano il cinema del futuro. Confermata la presenza di autori affermati a livello internazionale: da Darren Aronofsky a Luca Guadagnino, passando per Alejandro Iñárritu e Andrew Dominik. Ma non mancano sicuramente le scommesse: basti pensare all’opera prima di Alice Diop, “Saint Omer”, una giovane regista di cui sentiremo parlare a lungo. L’Italia è ben rappresentata: cinque italiani in concorso, guidati da un maestro come Gianni Amelio. Impossibile non citare la presenza nel concorso principale di “Khers Nist”, nuovo film di Jafar Panahi. Come sappiamo, il regista iraniano è tuttora in carcere soltanto per avere esercitato il suo diritto alla libertà di espressione. Ma c’è di più. La Biennale, infatti, non ha mai mancato di far sentire la sua voce in difesa del popolo ucraino e dei tanti cineasti privati della libertà. Da questo punto di vista, Barbera ha annunciato che a breve verranno rese note alcune iniziative previste nel corso della kermesse. «È importante ricordare che le mostre non si producono all’interno di una bolla chiusa alla realtà contemporanea», l’analisi perentoria del direttore del Festival, in prima linea per condannare ancora una volta la guerra di aggressione all’Ucraina, «costretta a difendersi e a difendere nel contempo le democrazie europee minacciate dall’imperialismo di Putin». Di Massimo Balsamo 

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