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“Clickbait” di Netflix, specchio di una società guardona e senza sentimenti

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La rete scoppia di contenuti acchiappa-like che hanno il solo scopo di macinare visualizzazioni senza nulla aggiungere alla notizia, se non dettagli pruriginosi. È il tema affrontato da “Clickbait”, amara serie Netflix, che si preannuncia già un successo.

“Clickbait” di Netflix, specchio di una società guardona e senza sentimenti

La rete scoppia di contenuti acchiappa-like che hanno il solo scopo di macinare visualizzazioni senza nulla aggiungere alla notizia, se non dettagli pruriginosi. È il tema affrontato da “Clickbait”, amara serie Netflix, che si preannuncia già un successo.
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“Clickbait” di Netflix, specchio di una società guardona e senza sentimenti

La rete scoppia di contenuti acchiappa-like che hanno il solo scopo di macinare visualizzazioni senza nulla aggiungere alla notizia, se non dettagli pruriginosi. È il tema affrontato da “Clickbait”, amara serie Netflix, che si preannuncia già un successo.
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Il termine “Clickbait” significa letteralmente “esche da click”. Una pratica usata da giornali e siti d’informazione che sfruttano notizie sensazionalistiche per fare leva sulle emozioni del lettore con il fine di accumulare introiti, a scapito di una qualità che viene inevitabilmente a mancare.

“Clickbait” è anche il titolo di una recente serie targata Netflix, che mostra come i rischi della rete si siano moltiplicati con l’avvento dei social network, ma anche di un certo tipo di giornalismo privo di etica.

La serie, che per la trama richiama il primo episodio di “Black Mirror”, successo straordinario sempre di Netflix, fa luce su un certo tipo di giornalismo – quello votato alla spettacolarizzazione e alle fake news – che utilizza il clickbaiting e ne mostra i suoi lati peggiori. Anche se nel caso di “Clickbait”, la pratica in questione assume fattezze tossiche e deleterie (tanto da trasformare un video virale in una condanna a morte per un uomo) non si possono non notare pericolose similitudini con l’informazione e la società attuale: oltre alla pratica sopra citata secondo cui i giornalisti non possono sottrarsi al fascino di contenuti acchiappa-like e visualizzazioni, il secondo aspetto che emerge è la morbosità che il pubblico ha verso le notizie pruriginose. E così, mentre leggiamo del ritorno di Annamaria Franzoni nella casa in cui uccise il piccolo Samuele o guardiamo precipitare la funivia del Mottarone dimentichiamo che dietro notizie e video del genere ci sono intere famiglie che, come quelle del protagonista della serie, ne soffrono o possono addirittura sfasciarsi.

Tutto in nome di una ignobile gara a chi racimola più like tra il pubblico.

Lo stesso che, nella serie, non si pone il minimo scrupolo nel guardare i video caricati in rete del protagonista che, preso in ostaggio, al raggiungimento delle 5 milioni di visualizzazioni verrà ucciso come punizione dei suoi crimini. Nella trama gialla del prodotto mediale si innestano così riflessioni sulle pressioni mediatiche e sui pericoli legati all’abuso delle piattaforme online (compreso il tema dei furti d’identità in stile “Catfish”), svelando una frattura sempre più grande tra la nostra identità virtuale e quella reale.   Di Alessia Luceri

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