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Il progetto di De Crescenzo per ridare luce alla musica napoletana

Mentre in Giappone la canzone napoletana viene studiata a menadito, nella nostra penisola ne ignoriamo la portata storica.  Fortunatamente ci sono lavori capaci di riportarla in auge come quello di Eduardo De Crescenzo insieme al pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e al giornalista Federico Vacalebre: “Avvenne a Napoli – Passione per voce e piano”.
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Il progetto di De Crescenzo per ridare luce alla musica napoletana

Mentre in Giappone la canzone napoletana viene studiata a menadito, nella nostra penisola ne ignoriamo la portata storica.  Fortunatamente ci sono lavori capaci di riportarla in auge come quello di Eduardo De Crescenzo insieme al pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e al giornalista Federico Vacalebre: “Avvenne a Napoli – Passione per voce e piano”.
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Il progetto di De Crescenzo per ridare luce alla musica napoletana

Mentre in Giappone la canzone napoletana viene studiata a menadito, nella nostra penisola ne ignoriamo la portata storica.  Fortunatamente ci sono lavori capaci di riportarla in auge come quello di Eduardo De Crescenzo insieme al pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e al giornalista Federico Vacalebre: “Avvenne a Napoli – Passione per voce e piano”.
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Mentre in Giappone la canzone napoletana viene studiata a menadito, nella nostra penisola ne ignoriamo la portata storica.  Fortunatamente ci sono lavori capaci di riportarla in auge come quello di Eduardo De Crescenzo insieme al pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e al giornalista Federico Vacalebre: “Avvenne a Napoli – Passione per voce e piano”.
È un luogo comune diffuso, con un importante fondo di verità, il fatto che noi italiani siamo intrinsecamente poco capaci di valorizzare le nostre opere e la nostra arte. Non stupisce più di tanto, quindi, scoprire che la canzone napoletana sia studiata in Giappone e in altri luoghi del mondo mentre in Italia vive un quasi totale oblio, tale per cui neanche nella stessa Napoli troverete un museo a essa dedicato. Quell’Italia, genitrice pure del melodramma, dove la musica nelle scuole è relegata a un paio di ore scarse che nulla trasmettono agli studenti. Eppure, quelle stesse melodie partenopee diedero i natali alla forma canzone così come la conosciamo oggi. Qualcosa che nei secoli precedenti si era andato formando e sintetizzando e che si concretizzò nel corso dell’Ottocento proprio nella città dei quattro conservatori. Nacque così la “canzone”, stabilendo canoni e gettando le basi di quello che sarebbe diventato lo scheletro dei brani odierni. All’estero lo sanno benissimo, noi italiani sembriamo ignorarlo. Per far riscoprire questo pezzo della nostra storia quasi completamente dimenticato in patria, Eduardo De Crescenzo (una delle voci più belle del panorama italiano e figlio di Napoli) ha dato vita insieme al pianista jazz Julian Oliver Mazzariello e al giornalista Federico Vacalebre a un progetto chiamato “Avvenne a Napoli – Passione per voce e piano”. Un cofanetto con cd e libro edito da “La nave di Teseo” e “Betty Wrong” di Elisabetta Sgarbi, nelle librerie dal 26 maggio. L’esito di un lavoro durato due anni, in cui la tradizione della canzone napoletana viene ripresa, studiata a livello filologico e riproposta in una veste nuova per pianoforte e voce, nel rispetto di come veniva suonata al tempo in cui fu scritta. Venti canzoni che hanno travalicato i nostri confini, facendo della musica partenopea una delle nostre forme d’arte più note nel mondo. «Non è un caso – ricorda Vacalebre, l’autore del libro – che nel 1920 alle Olimpiadi d’Anversa, dimenticandosi l’inno d’Italia, suonarono “‘O sole mio”». Non bastasse la bellezza in sé di certi brani, molti furono interpretati da figure divenute leggendarie. Come Enrico Caruso, che aveva iniziato facendo il cantante in una bettola lì dove sarebbe poi sorto, negli anni Sessanta, lo stadio San Paolo. Caruso divenne un artista amatissimo oltreoceano e anche il volto – oggi diremmo testimonial – della pubblicità dei grammofoni. In questo modo la canzone napoletana finiva associata al mezzo che all’epoca era sinonimo stesso di musica. La potenza di quelle melodie risiede nel lavoro svolto da poeti del calibro di Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo, insieme a compositori come Tosti e Costa, che riuscirono nell’impresa di creare una canzone d’arte ma di popolo, che funzionava nei salotti bene come nei vicoli della città. Nomi oggi completamente dimenticati in Italia, mentre per le strade di Tokio un bambino canta “Funiculì funiculà”. Qualcosa è andato storto. Di Federico Arduini

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