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Eurovision, le ragioni del successo

Sullo sfondo del successo dell’Eurovision c’è una grande voglia di evadere, una ricerca di leggerezza, dopo la pandemia e la guerra. La musica ancora una volta unisce.
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Eurovision, le ragioni del successo

Sullo sfondo del successo dell’Eurovision c’è una grande voglia di evadere, una ricerca di leggerezza, dopo la pandemia e la guerra. La musica ancora una volta unisce.
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Eurovision, le ragioni del successo

Sullo sfondo del successo dell’Eurovision c’è una grande voglia di evadere, una ricerca di leggerezza, dopo la pandemia e la guerra. La musica ancora una volta unisce.
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Sullo sfondo del successo dell’Eurovision c’è una grande voglia di evadere, una ricerca di leggerezza, dopo la pandemia e la guerra. La musica ancora una volta unisce.
Sarà il sapore più italiano, sarà per la grande capacità della musica di unire: sta di fatto che questa edizione dell’Eurovision Song Contest ha toccato punte di share senza precedenti da quando va in onda sulla tv pubblica. E già nelle semifinali, seguite da qualcosa come 5 milioni di telespettatori: quasi un terzo di tutto il pubblico televisivo si è sintonizzato su Rai1. Merito anche del fatto che le protagoniste uniche e assolute sono state le canzoni: Mika, Alessandro Cattelan e Laura Pausini da Torino parlavano ovviamente in inglese, visto che lo show viene trasmesso in tutti i Paesi partecipanti. Questo inevitabilmente comporta che, rispetto ad altre trasmissioni, si parli meno e si canti di più. Un equilibrio che a quanto pare funziona. Come non apprezzare poi, da italiani, le immagini di luoghi conosciuti e meno noti del nostro Paese che hanno preceduto ogni esibizione. Sullo sfondo, il bisogno di tanti di ‘evadere’. La pandemia, poi la guerra: siamo alla ricerca disperata di scampoli di leggerezza anche in televisione. Lo ha dimostrato il successo di Sanremo, lo conferma Eurovision. Musica e show, perché ormai il must è stupire anche con il look. E con la scenografia, ovviamente. Anche se forse l’esagerazione ha stancato: prova ne sia l’esclusione di Achille Lauro dalla finale. Rappresentava San Marino, sul palco ha come sempre portato una performance provocatoria e scenografica. Sono quelle che l’hanno reso famoso. E, piaccia o meno, va riconosciuto che è geniale. Eppure forse, per quel palco, la sua mania di stupire era troppa. Diversamente ha fatto Sheldon Riley, rappresentante dell’Australia (che non sta in Europa eppure partecipa all’Eurovision): si è esibito con una maschera di cristallo che è però la rappresentazione del disagio di un bambino – lui stesso – a cui fu diagnosticata la sindrome di Asperger. E così, al di là della voglia di osare, la sua musica racconta di diversità e accettazione. Insomma, provoca ma con uno scopo. Non vincerà ma comunque ha portato un messaggio importante su un palco prestigioso. Potrebbe vincere l’Ucraina con la Kalush Orchestra, data dall’inizio come superfavorita ma più per ragioni simboliche che per una valutazione artistica. Ci starebbe, sarebbe un bel segnale. Anche se da italiani non possiamo non fare il tifo per una doppietta: dopo la vittoria dei Måneskin lo scorso anno, Mahmood e Blanco con la loro “Brividi” sono i più ascoltati fra i finalisti. E hanno dato spettacolo a Torino, andando in giro con il monopattino come fossero due ragazzini qualunque e non i big di questo evento che ha regalato giorni emozionanti alla città sabauda. Sono spassosi, leggeri, allegri, irriverenti e hanno anche delle voci fuori dal comune. Sarà campanilismo ma non possiamo non fare il tifo per loro. E comunque, chiunque vinca, resta la bellezza di una musica che unisce in tempi fatti di guerra e divisione. di Annalisa Grandi

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