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Grande cinema non solo “da festival”

Uno sguardo ad alcuni dei film visti ieri al Festival del Cinema di Venezia, da “Dogman” a “Ferrari” fino a “El Conde”
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Grande cinema non solo “da festival”

Uno sguardo ad alcuni dei film visti ieri al Festival del Cinema di Venezia, da “Dogman” a “Ferrari” fino a “El Conde”
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Uno sguardo ad alcuni dei film visti ieri al Festival del Cinema di Venezia, da “Dogman” a “Ferrari” fino a “El Conde”
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Uno sguardo ad alcuni dei film visti ieri al Festival del Cinema di Venezia, da “Dogman” a “Ferrari” fino a “El Conde”
A tarda sera, il presidente di giuria Damien Chazelle passeggia per il Lido abbracciato alla moglie Olivia Hamilton. È sorridente. Il viso disteso. Che sia contento dei film visti fin qui?  Archiviato “Comandante”,  in attesa del secondo italiano in concorso, “Finalmente l’Alba” di Saverio Costanzo, e di “Poor Things” con la star Emma Stone costretta – causa sciopero – a disertare la Mostra, sono scesi in gara tre nomoni. Il francese che gira negli Stati Uniti: Luc Besson con “Dogman”; l’americano che esplora le note d’ombra di un celebre italiano: Michael Mann con “Ferrari”; il cileno che torna a lavorare nel suo Paese, dopo l’incursione reale-britannica di “Spencer”: Pablo Larrain regista di “El Conde”. “Ferrari” di nome fa Enzo. Commendatore Enzo Ferrari, per chi ne riconosceva la statura biblica. Come l’originale, è molto alto anche chi lo interpreta. L’americano Adam Driver sfiora in altezza i 190 centimetri. E in scioltezza indossa i panni di un signore modenese del secolo scorso, che pare distante anni luce dall’attore californiano ex marine che lo porta sullo schermo. Il 40enne Driver si conferma, forse il migliore interprete americano della sua generazione.  Si dice lo stesso, sul fronte regia, anche di Michael Mann. Autore di culto (“L’ultimo dei Mohicani”, “Insider”, “Collateral”), qui non al suo meglio. Perché malgrado gli sforzi “Ferrari” non riesce a ripulirsi dal peccato di una italianità affettata e cartolinesca, che rende certe dinamiche non del tutto credibili. Così, i momenti migliori sono quelli serrati fra le mura domestiche (gli esagitati conflitti tra Enzo e la moglie Laura, ben tratteggiata da Penélope Cruz). Oppure la Mille Miglia 1957, che accende la parte finale di una operazione il cui senso un po’ sfugge. Per credere, o per smentire, tocca aspettare l’uscita di “Ferrari” il 30 novembre. Il cinema adrenalinico e pop di Luc Besson (“Nikita”, “Leon”, “Il quinto elemento”) non è propriamente  festivaliero. Quando lo scorso luglio è stato annunciato “Dogman” in gara per il Leone, un po’ di incredulità non è mancata. L’attesa allora, era di vedere qualcosa di diverso dal solito Besson. Invece, è il solito Besson. Ma nella accezione migliore. ‘Dogman” (si chiama come il film di Garrone, che però sta  agli antipodi) è intrattenimento puro, violento, eccessivo, frenetico. Un ragazzino maltrattato nel fisico e nella psiche da un padre perverso, un fratello fanatico religioso e una madre troppo fragile, lega uno strettissimo rapporto con i cani. Diventato grande, con l’aiuto dei suoi amici animali si ritaglia un singolare spazio nella malavita. Il film apre con l’aforisma di Lemaitre: “Dove c’è un infelice, Dio manda un cane”. E chiude, con un bel finale, coerente al suo incipit. L’americano Caleb Landry Jones è interprete da applauso. Esce in sala il 5 ottobre, per Lucky Red. E se il dittatore cileno Augusto Pinochet non fosse morto? Se il sanguinario generale fosse un vampiro assetato di sangue, lussuria e potere? “El Conde” del cileno Pablo Larraín – su Netflix dal 15 settembre – prende le mosse da questo spunto grandioso. Il ritmo non sempre regge, a volte il film (fotografato da Ed Lachman in estetico e efficace bianco e nero) un po’ gira su se stesso. Ma non mancano i grandi momenti, in una grottesca commedia horror d’autore che piacerebbe a Polanski. A proposito, del maestrone novantenne la Mostra è pronta ad accogliere fuori concorso “The Palace”. Commedia affatto per bene e potenzialmente incendiaria. Come il suo autore. di Federico Fumagalli

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