Fine dei giochi, la stagione conclusiva di “Squid Game”
Dopo sei mesi è arrivata la terza stagione di “Squid Game”, la serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk che a distanza di tre anni dalla prima è ancora la più vista di sempre su Netflix

Fine dei giochi, la stagione conclusiva di “Squid Game”
Dopo sei mesi è arrivata la terza stagione di “Squid Game”, la serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk che a distanza di tre anni dalla prima è ancora la più vista di sempre su Netflix
Fine dei giochi, la stagione conclusiva di “Squid Game”
Dopo sei mesi è arrivata la terza stagione di “Squid Game”, la serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk che a distanza di tre anni dalla prima è ancora la più vista di sempre su Netflix
Dopo sei mesi è arrivata la terza stagione di “Squid Game”. La serie coreana creata da Hwang Dong-hyuk che a distanza di tre anni dalla prima è ancora la più vista di sempre su Netflix. L’ultimo capitolo ha già raggiunto nuovi record, diventando con 60 milioni di visualizzazioni in tre giorni la serie più guardata nella fase di esordio. Nonostante la delusione per la seconda stagione, che aveva il grosso difetto di concludersi senza un finale che corrispondesse alla fine dei giochi. Da questo punto di vista la terza stagione di “Squid Game” non inganna il pubblico come lo scorso capitolo. Questa è la parte 2 della seconda stagione.
“Squid game”, nella terza stagione si riparte esattamente da dove si era rimasti
Si riparte esattamente da dove si era rimasti. Chiudendo frettolosamente la rivolta fallita contro gli organizzatori del gioco guidata dal protagonista, Seong Gi-hun (impersonato da Lee Jung-jae), che uscirà psicologicamente distrutto da questo disastro costato la vita al suo migliore amico. Ciò riporta la serie ai fondamentali che ne hanno decretato il successo. Raccontare le vicende di un gruppo di persone bisognose di soldi che partecipano a una gara di giochi al massacro ispirati ai giochetti per bambini, in cui chi non riesce a superare la prova viene ucciso. Una competizione infame, che più si avvicina al finale più diventa una questione di ‘mors tua vita mea’.
Gli ultimi sei episodi di “Squid Game” tornano quindi a concentrarsi sulle dinamiche del gioco
Gli ultimi sei episodi di “Squid Game” tornano quindi a concentrarsi sulle dinamiche del gioco. Mentre le sottotrame iniziate nella seconda stagione perdono significato fino quasi a evaporare. Confermando la sensazione che fossero state aggiunte solo per allungare la durata di una storia che poteva essere raccontata con una singola stagione. In questo il terzo capitolo è più duro del secondo e va dritto al sodo, regalando alcuni momenti drammatici degni di nota. Anche per il messaggio che l’autore ha voluto trasmettere.
L’impatto della prima stagione
La prima stagione – il cui impatto era per forza di cose ineguagliabile, vista la forza dell’effetto novità – si presentava infatti soprattutto come una critica al capitalismo sfrenato e spietato. Una massa di falliti, spesso con proprie colpe (come il protagonista giocatore d’azzardo), sceglievano di rischiare la vita pur di contendersi un ricco premio offerto da un misterioso gruppo di miliardari sadici. Che si divertivano a guardarli soffrire e morire.
Questo tema non è sparito, ma nella parte finale la riflessione è andata in profondità diventando meno ‘economica’ e più umana. Avendo introdotto la regola che prevede la possibilità per i giocatori di chiudere il gioco e spartirsi il premio tra sopravvissuti dopo ogni prova con una semplice votazione, “Squid Game” sposta la colpa anche sui concorrenti. Poiché questi scelgono di andare avanti per alzare la posta. Rapiti da un vortice di violenza, crudeltà e avidità che a un certo punto non è più giustificabile con la povertà. Quando i pochi giocatori rimasti dimostrano di essere pronti a uccidere una neonata viene superato un limite preciso. Segnando una svolta narrativa che giustifica la forzatura di inserire nella serie l’assurdità di un parto all’interno dei giochi.
L’ultimo capitolo di “Squid Game”
L’ultimo capitolo di “Squid Game” ha tanti difetti. In primis quello di sfidare duramente la sospensione dell’incredulità. E di essere stato tirato troppo per le lunghe (paradossalmente a causa di una vorace dinamica di mercato). Ma la storia di fondo è la degna conclusione di un’opera che è riuscita a imporsi a livello internazionale con la sua estetica e il suo messaggio. Adesso non resta che aspettare lo spin-off statunitense, perché è difficile resistere alla sorpresa di vedere Cate Blanchett nei panni della reclutatrice.
di Federico Bosco
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- Tag: serie tv, spettacoli
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