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Gigi Sabani, l’uomo che morì due volte
La prima volta che Gigi Sabani morì lo fece a occhi aperti. Forse perché non se l’aspettava, al punto che quando arrivò il momento si guardò attorno e disse in mezzo romanesco col suo vocione: «Ma ’ndo’ stanno le telecamere?», pensando di essere su “Scherzi a parte”
Gigi Sabani, l’uomo che morì due volte
La prima volta che Gigi Sabani morì lo fece a occhi aperti. Forse perché non se l’aspettava, al punto che quando arrivò il momento si guardò attorno e disse in mezzo romanesco col suo vocione: «Ma ’ndo’ stanno le telecamere?», pensando di essere su “Scherzi a parte”
Gigi Sabani, l’uomo che morì due volte
La prima volta che Gigi Sabani morì lo fece a occhi aperti. Forse perché non se l’aspettava, al punto che quando arrivò il momento si guardò attorno e disse in mezzo romanesco col suo vocione: «Ma ’ndo’ stanno le telecamere?», pensando di essere su “Scherzi a parte”
La prima volta che Gigi Sabani morì lo fece a occhi aperti. Forse perché non se l’aspettava, al punto che quando arrivò il momento si guardò attorno e disse in mezzo romanesco col suo vocione: «Ma ’ndo’ stanno le telecamere?», pensando di essere su “Scherzi a parte”
La prima volta che morì lo fece a occhi aperti. Forse perché non se l’aspettava, al punto che quando arrivò il momento si guardò attorno e disse in mezzo romanesco col suo vocione: «Ma ’ndo’ stanno le telecamere?», pensando di essere su “Scherzi a parte”. O forse perché tutto si sarebbe aspettato tranne che qualcuno si potesse accanire contro di lui, che era così amato, così popolare. Uno che metteva insieme decine di milioni di italiani davanti alla tv (non è un’iperbole: nel 1982 la terza edizione di “Fantastico” su Raiuno ebbe un’audience di 26 milioni di spettatori). E invece no: anche uno come Gigi Sabani aveva chi l’odiava, evidentemente.
Se ne accorse sulla sua pelle all’alba del 18 giugno 1996, quando i carabinieri si presentarono alla porta della sua abitazione romana a qualche decina di metri da Castel Sant’Angelo. Avevano un’ordinanza di custodia cautelare da consegnargli: arresti domiciliari. Di quell’inchiesta si parlava da qualche giorno, i media avevano come al solito trovato il modo per accendere e alimentare l’interesse morboso del grande pubblico: “Provini sexy”. Il quadro d’insieme era un giro di incontri privati fra uomini di spettacolo e showgirl in erba attorno a una scuola per modelle di Biella (“Celebrità”): tu fai la carina con me e vedrai che ti rimedio contratti col cinema o la tv. Nel linguaggio del codice penale si traduce nei reati di truffa a fini sessuali e induzione alla prostituzione. Una delle iscritte a quella scuola, allora minorenne, aveva raccontato al pm di aver subìto approcci sessuali da Sabani un anno prima. Sì, lui: la superstar dello spettacolo, il principe degli imitatori, il conduttore misurato e mai volgare era in realtà un vecchio marpione tutta libidine e zero scrupoli.
La prima conseguenza fu la più ovvia: stampa e tv sentirono l’odore del sangue e si avventarono sulla preda da sbranare a colpi di titoloni e paginate. Ci riuscirono. Da casa Sabani filtrò solo qualche riga di disperazione: «Sono incredulo, non mi sono mai sognato di fare quelle cose di cui parla chi mi accusa. Certo, ho avuto rapporti con alcune ragazze, ma non erano affatto finalizzati a prostituzione o truffa». Alle accuse della ragazza si aggiunsero le parole di un suo ex collaboratore – che sparò ad alzo zero su di lui per vecchi rancori – e quelle (più o meno dello stesso tenore) di un tizio che lo showman aveva conosciuto anni prima. Balle, maldicenze, infamie.
Agli arresti Gigi Sabani rimase tredici giorni. Prima di dire «Dài, in fin dei conti non sono tanti…», pensateci: chiuso in casa senza poter vedere né sentire nessuno, con un maglio che pende sulla testa e il mondo là fuori che rovescia bugie e falsità senza controllo. La prima cosa che fece, una volta libero, fu denunciare per abuso d’ufficio il pm che ne aveva chiesto l’arresto. Nota a margine (ma neanche troppo): meno di un anno dopo lo stesso magistrato sposò a Roma una sua ex testimone in quell’inchiesta, che per giunta era stata compagna di Sabani per quattro anni.
Man mano però che andava avanti, l’inchiesta si sgonfiava. E – esattamente 28 anni fa oggi – il gip di Roma (su richiesta del pm, nel frattempo cambiato) archiviò il procedimento. «La prima bella notizia, dopo tanta sofferenza». Il fatto è che quella sofferenza non se ne andò più. Semplicemente si trasformò: diventò l’amarezza profonda di essere messo ai margini di quel mondo che pure l’aveva venerato, adulato e blandito finché era in vetta: «È stato come morire a occhi aperti. Vedi quello che ti succede e non puoi farci niente. Anzi, una cosa la puoi fare: conti i buoni, pochissimi. La famiglia, poi Lino Banfi, Gianni Morandi, Arbore, Celentano, Cutugno e Maurizio, sì Costanzo, più degli altri. Poi i cattivi, cioè quasi tutti. Perché l’ambiente è una merda».
Provò a ricominciare a vivere, nonostante la presa in giro di un risarcimento irrisorio per la sua ingiusta detenzione (24 milioni di lire), l’ostracismo sul lavoro, le ferite nell’animo e forse anche nel fisico per le troppe angosce tenute dentro. Fino a quella sera in cui – aveva 54 anni – andò a cena dalla sorella, giusto per fare due chiacchiere e passare del tempo con qualcuno che gli voleva davvero bene. Verso le 20 si sentì male, chiese di potersi sdraiare un po’. La sorella andò in cucina a preparargli una camomilla. Quando tornò, lui era morto. Di nuovo. A occhi chiusi.
di Valentino Maimone
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- Tag: televisione
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