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Her Story

“Her Story”, il film che sta risvegliando il Dragone

Una scintilla alla coscienza della Cina. Di cinema in cinema, “Her Story” ha l’effetto di un detonatore di massa

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“Her Story”, il film che sta risvegliando il Dragone

Una scintilla alla coscienza della Cina. Di cinema in cinema, “Her Story” ha l’effetto di un detonatore di massa

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“Her Story”, il film che sta risvegliando il Dragone

Una scintilla alla coscienza della Cina. Di cinema in cinema, “Her Story” ha l’effetto di un detonatore di massa

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Una scintilla alla coscienza della Cina. Di cinema in cinema, “Her Story” ha l’effetto di un detonatore di massa

Una scintilla alla coscienza della Cina. Di cinema in cinema, fino a contagiare l’intero Paese ormai in preda a un inedito sbalzo culturale. Si chiama “Her Story”: un film uscito in punta di piedi alla fine del novembre scorso, proponendosi – «commedia femminista», si leggeva in fase di distribuzione – quasi come prodotto di nicchia. Nel giro di un mese ha invece sbaragliato il botteghino (incasso da oltre 100 milioni di dollari), diventando la pellicola più vista di tutta la Cina per venti e più giorni consecutivi. È stato premiato con l’eccezionale punteggio di 9,1/10 su Douban, la principale piattaforma di recensioni cinematografiche a quelle latitudini. E soprattutto, da Shangai a Pechino, tutti lo acclamano come il “Barbie” cinese.

Molto più che un paragone illustre: magari in Occidente il kolossal con Margot Robbie ha trasmesso più frivolezza che rivendicazione sociale. Ma in un regime dove le disuguaglianze di genere sono tuttora abissali – senza donne in politica, nelle università o ai vertici delle grandi aziende (secondo il Gender Inequality Index dell’Onu la Cina è al 48esimo posto, ben al di sotto della media globale) – il messaggio di “Her Story” ha l’effetto di un detonatore di massa. Come di rado era successo nella storia della Repubblica Popolare.

La trama è semplice e potentissima al tempo stesso. Racconta una triplice vicenda al femminile, ambientata a Shangai e spalmata su tre generazioni: protagoniste una madre single, la sua piccola figlia e la loro nuova vicina di casa. Insieme inseguiranno una quotidianità all’insegna dell’indipendenza. Come “Barbie”, la controparte cinese ha in effetti attorno a sé un’aura di leggerezza. Ma dietro la patina d’intrattenimento rivela una fucina di argomenti scomodi: sessualità, stereotipi maschilisti, violenza domestica, stalking. In una scena-simbolo, la bambina dice per esempio a una tavolata di adulti che «più della metà della popolazione del mondo sanguina ogni mese». È così che “Her Story” sgretola secolari tabù. Colpendo nel cuore delle donne, ma riuscendo a raggiungere anche insperate fette di pubblico solidale.

Il cinema porta al merchandising. Ai social. Alle voci reali per un’emancipazione collettiva che aspettava soltanto di essere incanalata. «Come reagiscono gli uomini di fronte alle disuguaglianze messe a nudo? È questo tipo di riflessioni che voglio stimolare con il mio lavoro» spiega la 33enne regista Shao Yihui. Che fa notare come il titolo della pellicola giochi metaforicamente con la parola history (che in inglese contiene il pronome maschile: nessun doppio senso, pura coincidenza grammaticale in eredità dal greco antico, ndr.), proprio per sottolineare come la storia sia troppo spesso scritta dagli uomini.

Alla luce di tutto questo, come ha fatto “Her Story” a sfuggire alla censura di Pechino (per giunta contestata all’interno del film)? La risposta sta nel suo roseo contenitore: spiritoso e d’evasione come “Barbie”, appunto. È un racconto che fa riflettere, ma non spinge a mettere a ferro e fuoco l’ordine costituito. Una scelta stilistica ma anche necessaria. A tal punto da riscontrare un certo consenso perfino all’interno del Partito comunista. Anche perché il governo ultimamente aveva già iniziato a rivedere certe politiche passatiste, incoraggiando le donne a sposarsi, a fare figli e a essere più protagoniste delle proprie vite. In questo senso, per la nomenklatura di Xi Jinping dare luce verde a “Her Story” sa dunque di astuto segnale di tolleranza. Con il rischio di arrivare ad appropriarsene, a patrocinarlo a distanza. Sta al popolo cinese non cadere nel tranello. E fare tesoro del grande schermo.

di Francesco Gottardi

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