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Teneri e sarcastici Jefferson

Il prossimo anno saranno già 50 candeline. Era infatti il 18 gennaio 1975 quando nei quieti palinsesti della tv americana fece irruzione “I Jefferson”

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Teneri e sarcastici Jefferson

Il prossimo anno saranno già 50 candeline. Era infatti il 18 gennaio 1975 quando nei quieti palinsesti della tv americana fece irruzione “I Jefferson”

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Teneri e sarcastici Jefferson

Il prossimo anno saranno già 50 candeline. Era infatti il 18 gennaio 1975 quando nei quieti palinsesti della tv americana fece irruzione “I Jefferson”

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Il prossimo anno saranno già 50 candeline. Era infatti il 18 gennaio 1975 quando nei quieti palinsesti della tv americana fece irruzione “I Jefferson”

Il prossimo anno saranno già 50 candeline. Era infatti il 18 gennaio 1975 quando nei quieti palinsesti della tv americana (in Italia sarebbe arrivata sei anni dopo) fece irruzione una sitcom divertente e feroce che diede un sussulto a una certa America benpensante: “I Jefferson”. Certo, si trattava di commedia nella sua più semplice ‘forma domestica’. Ma stavolta il meccanismo narrativo che l’aveva ispirata aveva dentro qualcosa di storicamente forte: il protagonista George Jefferson (l’attore Sherman Hemsley) è un classico nero americano del Queens, ex povero (lavorava come mozzo in Marina) diventato ricco (proprietario di una florida catena di lavanderie a secco), irascibile, sarcastico e soprattutto un tantino razzista nei confronti dei bianchi: «Sei figlio di una nera e di un bianco, quindi hai per metà ragione»; quando gli chiedono una frusta per montare gli albumi, risponde «Certo, te la do con piacere se… serve a frustare i bianchi».

È il ‘rovesciamento della situazione’, una delle tecniche più utilizzate dagli sceneggiatori televisivi e cinematografici (in particolare gli autori di commedie). Nel caso de “I Jefferson” quel rovesciamento ha un sapore molto forte che amplifica l’ironia e il grottesco delle varie situazioni che presenta. Non lesina riferimenti al Ku Klux Klan, all’alcolismo, al razzismo, al suicidio e all’essere transgender. Utilizza termini dispregiativi come “negro” per i neri e honky per i bianchi. A rafforzare il paradosso la presenza di una cameriera nera, Florence detta Flo (l’attrice Marla Gibbs), svogliata e reattiva, insofferente alle direttive del suo datore di lavoro con lo stesso colore della pelle (lui: «Florence, vorrei un caffè!»; e lei: «Sì, ne faccia uno anche per me»). E poi una coppia di vicini (lui bianco, lei nera) che il nostro George definisce con sarcasmo «la famiglia zebra».

Il battibecco è la situazione più presente nella comedy: tagliente, continuo. Nessuno risparmia nessuno. C’è umanità (lo stesso burbero George è capace di trasporti umanitari commoventi, aiutando di nascosto molta povera gente di colore), ma ci sono anche cinismo e comicità scorretta. Pure il confezionamento della serie ha un black mood molto interessante: la sigla iniziale è un movimentato gospel dal titolo “Movin’ On Up” che, in quella finale, rallenta trasformandosi in un doloroso hummy blues in dodici battute.

È il racconto di un’America parziale, una narrazione che piaceva tanto al movimento delle Pantere Nere che vedeva in questa sitcom una rappresentazione dell’uomo di colore finalmente non più povero, alcolizzato o dedito al crimine. Anche se non mancò un’altra sponda black (in particolare il giornalista Gregory Kane del “Baltimore Sun”) che, al contrario, riscontrò nella sitcom troppa «negritudine macchiettistica» zeppa di luoghi comuni.

Rimane invece il ricordo di una serie televisiva di grande successo di critica e di pubblico (ricevette ben 14 nomination agli Emmy Awards e fu tra le situation comedy in assoluto più seguite) che con ingredienti sapidi (cattiveria, sarcasmo, battibecco) diede un affresco pieno di umanità e tenerezza di un’America per troppo tempo rimasta ai margini.

di McGraffio

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