Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Disegnò fra le più celebri locandine cinematografiche
Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Il graphic designer americano, cresciuto nel Bronx, è scomparso lo scorso 17 agosto all’età di 103 anni

Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Disegnò fra le più celebri locandine cinematografiche
Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Il graphic designer americano, cresciuto nel Bronx, è scomparso lo scorso 17 agosto all’età di 103 anni
Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Disegnò fra le più celebri locandine cinematografiche
Joe Caroff, l’uomo dei loghi. Il graphic designer americano, cresciuto nel Bronx, è scomparso lo scorso 17 agosto all’età di 103 anni
Se pensate a James Bond, cosa vi viene in mente? Lo smoking, il Martini e… quel numero magico: 007 con la pistola incorporata. Un’icona assoluta che tutti abbiamo ben impressa in testa. Quel logo non è nato in uno studio londinese né da un algoritmo, è frutto della matita di Joe Caroff, graphic designer americano cresciuto nel Bronx, scomparso lo scorso 17 agosto all’età di 103 anni. Con pochi tratti ha creato una delle immagini più riconoscibili al mondo, diventata parte integrante dell’identità dell’agente segreto con licenza di uccidere e del mito cinematografico che lo circonda.
Joe Caroff non fu soltanto “l’uomo di Bond”
Caroff non fu tuttavia soltanto “l’uomo di Bond”. La sua carriera attraversa alcuni dei momenti più alti del cinema del Novecento: ha firmato infatti i manifesti di “West Side Story” (1961), “Cabaret” (1972), “Ultimo tango a Parigi” (1972), “Zelig” (1983), fino alla locandina di “Manhattan” di Woody Allen (1979), con quel logo iconico con lo skyline di New York. Non proprio B movie: parliamo di film che hanno costruito epoche, e che grazie alla grafica di Caroff hanno trovato un’immagine indelebile.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, il manifesto cinematografico non era soltanto uno strumento promozionale: era il primo contatto del pubblico con un film. Prima ancora del trailer, erano le locandine a costruire l’attesa e i designer anglosassoni dell’epoca avevano capito che bastava un segno grafico potente per condensare un’intera storia.
In Italia la tradizione era diversa
In Italia, invece, la tradizione era diversa: si privilegiava l’illustrazione pittorica, fatta di ritratti dipinti dei protagonisti, veri e propri quadri che esaltavano i volti delle star e l’atmosfera del film. Basti pensare a “La Dolce Vita” di Federico Fellini o a “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, con manifesti che sembravano tele da galleria. Una cifra stilistica che in seguito verrà reinterpretata da Mimmo Rotella, che ne fece un’operazione concettuale e pop, strappando e ricomponendo proprio quelle immagini-icona. Non a caso oggi molti di quei manifesti sono oggetto di collezionismo, esposti nei musei o battuti all’asta come vere opere d’arte proprio perché raccontano non solo un film, ma un’intera stagione culturale.
Parlando di Joe Caroff, è inevitabile citare Saul Bass
Parlando di Caroff, è inevitabile citare Saul Bass, altro gigante della grafica del Novecento. Fu lui a rivoluzionare i titoli di testa trasformandoli in veri pezzi d’autore, e a firmare poster diventati pietre miliari: dalla spirale ipnotica di “Vertigo” di Alfred Hitchcock (1958) alla mano stilizzata de “L’uomo dal braccio d’oro” di Otto Preminger (1955), con Frank Sinatra, capace di raccontare da sola il dramma della dipendenza da eroina.
Le strade di Bass e Caroff si incrociarono all’inizio degli anni Sessanta, quando il primo era già un nome affermato e il secondo un giovane grafico agli esordi. Per Caroff lavorare nell’agenzia di Bass significò avere un mentore d’eccezione, capace di introdurlo a un linguaggio nuovo, essenziale e potente. Fu proprio in quel contesto che Caroff firmò uno dei suoi lavori più celebri: il manifesto di “West Side Story”. Quel titolo verticale intrecciato alle scale antincendio di New York è diventato una sintesi visiva della città, un’immagine che molti attribuirono a Bass, ma che in realtà porta la firma di Caroff.
Il suo percorso ricorda quanto la grafica sia un linguaggio universale, capace di attraversare epoche e generazioni: il logo 007, le scale di “West Side Story”, la skyline di “Manhattan”, immagini così forti da resistere alle mode e persino all’avvento del digitale.
Caroff non era solo un designer
Joe Caroff non era solo un designer: era un artista che, con la sua mano, ha trasformato il cinema in icona. I suoi segni non hanno semplicemente accompagnato i film, li hanno fissati nell’immaginario, rendendoli riconoscibili per sempre.
E tra poco il suo logo più celebre tornerà ancora una volta sugli schermi: è infatti in lavorazione un nuovo capitolo della saga di James Bond. Dal 1962, anno di uscita di “Dr. No”, quel logo accompagna ogni avventura dell’agente segreto più famoso del mondo. Oggi, a oltre sessant’anni di distanza, sapere che dietro quel segno immortale c’è la mano di Joe Caroff rende quel simbolo ancora più prezioso.
di Renata Sortino
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