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The agency

La serie “The Agency” e la solitudine delle vere spie

Come suggerito dal nome, la serie “The Agency” racconta le vicende dell’agenzia di spionaggio per eccellenza: la Cia

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La serie “The Agency” e la solitudine delle vere spie

Come suggerito dal nome, la serie “The Agency” racconta le vicende dell’agenzia di spionaggio per eccellenza: la Cia

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La serie “The Agency” e la solitudine delle vere spie

Come suggerito dal nome, la serie “The Agency” racconta le vicende dell’agenzia di spionaggio per eccellenza: la Cia

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Come suggerito dal nome, la serie “The Agency” racconta le vicende dell’agenzia di spionaggio per eccellenza: la Cia

Come suggerito dal nome, la serie “The Agency” racconta le vicende dell’agenzia di spionaggio per eccellenza, la Cia, concentrandosi sul prezzo pagato dagli individui che decidono di abbandonare la propria identità per impersonarne un’altra e diventare un agente sotto copertura all’estero. La serie prodotta da Smokehouse e Showtime e distribuita su Paramount+ è il remake statunitense della francese “Le Bureau des légendes”, andata in onda dal 2015 al 2020 riscuotendo un enorme successo di pubblico e di critica.

“The Agency” riprende per sommi capi la stessa trama, adattandola alla situazione internazionale del mondo post invasione russa dell’Ucraina. Il protagonista è l’agente Martian (impersonato da Michael Fassbender), richiamato frettolosamente nell’ufficio della Cia di Londra da una missione sotto copertura in Africa in corso da sei anni, dove ha costruito una relazione d’amore con Samia Fatima Zahir (Jodie Turner-Smith), un’antropologa sudanese di cui Martian si è realmente innamorato. La situazione a Londra diventa subito critica a causa della sparizione di un agente in Bielorussia che sembra aver compromesso un’operazione della Cia in Ucraina, mentre Martian viene incaricato di preparare la novizia agente Danny (Saura Lightfoot-Leon) a una difficilissima missione sotto copertura che dovrà portarla in Iran. Le cose si complicano ulteriormente quando Martian incontra per caso Samia, arrivata nella Capitale britannica per una conferenza (ma dietro c’è qualcosa di molto più delicato e importante), decidendo – di nascosto dai superiori – di riprendere la relazione usando l’identità fittizia consumata durante la missione.

“The Agency” è una serie che punta in alto, con un cast che include altri attori carismatici come Richard Gere nel ruolo di direttore locale della Cia, Jeffrey Wright come mentore di Martian e Katherine Waterston nella parte di Naomi, gelida ufficiale di collegamento prima di Martian e poi di Danny. La sceneggiatura riesce a raccontare le storie di molti personaggi entrando nel tecnico delle procedure della Cia, immergendo lo spettatore in un mondo complesso, totalizzante e indesiderabile. I dieci episodi di “The Agency” vogliono mostrare il modo in cui gli agenti sotto copertura scelgono di sacrificare la propria vita sociale e sentimentale in nome dell’ambizione di fare qualcosa di importante, abbracciando un’esistenza solitaria e alienante. Una scelta che significa abbandonare di fatto la propria identità, essere disposti a vivere mentendo a tutte le persone che ti circondano, calcolando ogni rapporto, frase, gesto, conversazione e azione solo ed esclusivamente in funzione della missione. Ma la perfezione non esiste, la fiducia degli agenti nelle proprie abilità li porta a commettere degli errori – grossi – obbligandoli a fare i conti con decisioni troppo difficili anche per loro. Il ritmo è volutamente lento, tuttavia non manca un po’ di azione (ci sono anche delle scene di guerra ambientate in Ucraina, forse per la prima volta sul piccolo schermo).

Un difetto della serie è che i toni cupi e seriosi vengono offesi da alcune facilonerie abbastanza grossolane, piccole forzature di trama probabilmente necessarie ma che non passano inosservate, vista l’attenzione richiesta allo spettatore e l’evidente ambizione di voler creare una rappresentazione credibile. A parte questo, “The Agency” è una serie imperdibile per gli appassionati, sconsigliata soltanto a chi ha amato “Le Bureau” e potrebbe trovare la versione americana troppo patinata rispetto all’originale francese.

di Federico Bosco

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