Lo sberleffo scorretto- intervista ad Enrico Vanzina
Per Enrico Vanzina il cinema è libertà. Sceneggiatore, produttore e scrittore ha speso una vita a raccontare la realtà
Lo sberleffo scorretto- intervista ad Enrico Vanzina
Per Enrico Vanzina il cinema è libertà. Sceneggiatore, produttore e scrittore ha speso una vita a raccontare la realtà
Lo sberleffo scorretto- intervista ad Enrico Vanzina
Per Enrico Vanzina il cinema è libertà. Sceneggiatore, produttore e scrittore ha speso una vita a raccontare la realtà
Cinema = libertà. Enrico Vanzina – sceneggiatore, produttore, scrittore – ha speso una vita a raccontare la realtà. E farlo liberamente, anche in barba alle critiche, è stato un suo marchio di fabbrica. In quest’intervista, incastrata tra Natale e Capodanno, gli abbiamo chiesto di tutto. Del politicamente corretto, del cinema, della Meloni, della sinistra. Perfino della guerra. Ecco la sua versione.
Capitolo 1, il politically correct. «Con mio fratello Carlo negli anni Ottanta – che erano l’epoca di Reagan, di Craxi, della Thatcher, di Berlusconi – abbiamo raccontato la società di allora e i suoi personaggi. E la critica ideologica del tempo, soprattutto quella di sinistra, scambiò i nostri film per dei racconti spalleggiatori. Erano invece un affresco sociologico di quel periodo. Se noi raccontavamo gli arricchiti cafoni che stavano a Cortina, penso a “Vacanze di Natale”, non è che sposavamo quella società. Con la sua critica ideologica e moralista la sinistra ha finito col perdere il contatto con la realtà». Oggi, nel XXI secolo, secondo Vanzina il politicamente corretto «cavalca dei temi condivisibili ma nel momento in cui diviene ideologia va a toccare quella che è la libertà di espressione perché confonde il punto di vista dell’autore e dei personaggi narrati con l’adesione alle scorrettezze che dicono. Quando si fa del politicamente scorretto questo non è necessariamente il punto di vista dell’autore: le battute non vanno scambiate col suo pensiero. I personaggi sono scorretti perché nella vita reale esistono e il cinema non può ignorare la realtà. Chi vuol raccontare la vita non può essere bloccato da canoni pre-scritti, come se fossero le tavole di Mosè. Con una postilla: il pubblico è perfettamente in grado di capire che si tratta di ironia o di un personaggio che pensa in maniera scorretta». Nel ragionamento di Vanzina c’è spazio anche per quello che secondo lui è il sintomo di una grande contraddizione contemporanea: la Rete, ovvero «il regno delle scorrettezze». E fa un esempio, per far capire meglio il suo ragionamento. «Prendiamo il Me Too: non si rendono conto che poi in Rete si trova una mercificazione del corpo delle donne, con donne che si propongono in maniere provocanti, in varie pose, con cambi di immagini ogni ora. E cos’è questa se non una contraddizione pazzesca?».
Capitolo 2, la crisi delle sale cinematografiche. «Tra i miei auspici per il 2023 vi è quello che le sale tornino a essere piene perché sono il luogo fisico della libertà del cinema. E perché questo accada occorre che il pubblico ritrovi sul grande schermo quella massima libertà che andando al cinema aveva sempre trovato. Quasi una liturgia legata al fatto che la sala era il regno della libertà espressiva. Era. Oggi molto meno».
Capitolo 3, le piattaforme. Tra le cause del conformismo dell’odierno politicamente corretto Vanzina individua la principale nel trionfo delle piattaforme, «che sono globali (e quasi tutte americane) e la cui narrazione è simile in tutto il mondo, facendo così perdere le sfumature delle realtà, come ad esempio i dialetti locali, che sono scomparsi dai dialoghi». Un modo di raccontare dove «si perdono le differenze del realismo della vita perché conta più la dimensione della storia che i dettagli della verità».
Capitolo 4, la guerra. Tra i desideri di Enrico Vanzina c’è che la guerra finisca. «Si tratta –sottolinea con un certo disgusto – di una guerra vecchia, assurda, di prepotenza geografica, con sotto il ricatto dell’atomica. Una guerra novecentesca».
Capitolo 5, la politica. Vanzina si augura «che ci sia una presa di coscienza della politica su quanto la gente oggi non la ami più e che questa presa di coscienza spinga la classe dirigente a recuperare valori e ideali».
Capitolo 6, Giorgia Meloni. Sulla presidente del Consiglio lo sceneggiatore romano è chirurgico: «Non ho un consiglio da darle, non l’ho votata ma trovo che sia tra i pochi che sa fare politica in Italia».
Qui si chiude la nostra intervista. In attesa del capitolo 7. Chissà, magari la sua prossima sceneggiatura per un nuovo film. In libertà.
Di Massimiliano Lenzi
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