Matteo Mattioni, tra lirica e pop: “Il crossover? Non è pop che ammicca all’opera”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Matteo Mattioni sul suo omonimo album, tra crossover, lirica e scrittura
Matteo Mattioni, tra lirica e pop: “Il crossover? Non è pop che ammicca all’opera”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Matteo Mattioni sul suo omonimo album, tra crossover, lirica e scrittura
Matteo Mattioni, tra lirica e pop: “Il crossover? Non è pop che ammicca all’opera”
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Matteo Mattioni sul suo omonimo album, tra crossover, lirica e scrittura
Venerdì 6 giugno è uscito in digitale “Matteo Macchioni“, l’omonimo nuovo album del tenore che per primo, anni fa, portò la lirica sul palco di Amici. Un progetto crossover elegante e potente, in cui la voce lirica incontra l’anima pop, dando vita a un racconto musicale intimo e universale. Il disco, prodotto con grandi nomi della musica italiana come Piero Cassano, Fabio Perversi e Mario Natale, contiene dieci brani — nove inediti e un medley — che affrontano i grandi temi dell’amore, della perdita, della memoria familiare e della rinascita interiore.
Tra ballate intense e momenti di lirismo puro, Macchioni racconta anche storie personali, come in “Oltreoceano”, ispirato alla vita del suo bisnonno emigrato in America, o in “Quel grande albero”, un ritorno emotivo all’infanzia e alle radici emiliane. L’album si chiude con una sorprendente reinterpretazione live in chiave crossover di due classici dei Queen: “One Vision/Bohemian Rhapsody”.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questo nuovo viaggio musicale, nato dall’incontro tra tradizione e sperimentazione, tra tecnica e cuore.

Com’è nato questo progetto?
Questo disco nasce dalla collaborazione con Piero Cassano, un professionista importantissimo della musica italiana e un amico da oltre un decennio. Solo nel 2022 abbiamo davvero iniziato a lavorare insieme su nuove canzoni, con l’idea di dare vita a un secondo album crossover. Il mio primo disco, infatti, risale ai tempi della mia partecipazione ad “Amici”, ed era stato prodotto da Caterina Caselli. Dopo quell’esperienza, però, la mia carriera operistica mi ha assorbito completamente per più di dieci anni.
Solo adesso, con una carriera ormai consolidata, ho potuto finalmente riaprire anche la porta della discografia. Questo mi ha dato libertà e voglia di spaziare fra i generi. Così, pezzo dopo pezzo, sono nate le tracce che hanno formato l’ossatura dell’album: nove brani, tre scritti da me, altri da Piero in collaborazione con grandi autori come Alberto Salerno.
Ogni canzone ha una sua identità precisa, ma tutte condividono una ricerca comune: quella della melodia, della bellezza vocale e della raffinatezza nell’arrangiamento.
Questo nuovo progetto discografico sembra il frutto di una lunga gestazione. Come mai questi brani sono rimasti nel cassetto? E come si inserisce oggi, nella tua carriera lirica, questa rinnovata apertura al crossover?
Erano nel cassetto perché nei primi anni del 2010 stavo iniziando la mia carriera come cantante lirico, e l’ambiente dell’opera e della musica classica richiede un impegno costante, esclusivo, soprattutto quando si punta a crescere a livello internazionale.
In quegli anni altre attività artistiche rischiavano di distrarre da un percorso che andava costruito con dedizione assoluta. Nel frattempo però non ho mai smesso di scrivere musica: è qualcosa che porto con me fin da quando ero adolescente. Solo che quei brani restavano per me, non uscivano. Dopo dieci anni di carriera, con un bagaglio di esperienze importanti — dalla Scala al Maggio Musicale Fiorentino, dall’Inghilterra alla Francia, dalla Danimarca al Giappone e alle Americhe — ho finalmente sentito di avere le “spalle abbastanza larghe” per riaprire quel cassetto.
Ma attenzione: non significa che ho lasciato l’opera per tornare al crossover. La mia attività da cantante lirico continua ed è il cuore della mia carriera. Quello che è successo, semmai, è che ho aggiunto una dimensione nuova, quella discografica, che mi consente di esprimere un’altra parte di me.
Il tuo nuovo album viene definito “crossover”, ma spesso questo termine viene confuso o usato impropriamente, magari per etichettare esperimenti pop che strizzano l’occhio alla lirica. Che visione hai tu del crossover?
È importante chiarire che il crossover non va confuso con il pop che si limita ad ammiccare all’opera lirica. Spesso succede che cantanti pop vengano associati al mondo dell’opera solo perché inseriscono certi elementi “classici” nei loro brani, ma senza aver mai calcato il palcoscenico di un teatro d’opera.
Nel mio caso è diverso: io sono un cantante lirico, la mia attività principale si svolge nei teatri, nell’ambito dell’opera. Il crossover, per me, è un altro binario, altrettanto serio e strutturato, che affianca, ma non sostituisce, quello operistico. Lo definisco “crossover” perché, pur essendo una scrittura più popolare, vocale e musicale, porta con sé certe tinte, certi colori vocali che fanno parte del mio bagaglio tecnico e interpretativo, e che derivano proprio dall’esperienza teatrale. Ma questo non vuol dire che i due mondi si confondano. Anzi: tengo a mantenerli ben distinti, proprio per rispetto sia della musica leggera che della lirica. In questo disco, ad esempio, non c’è alcuna forzatura: c’è semplicemente il desiderio di portare la mia voce in territori espressivi diversi, con autenticità e coerenza.
Basta dire le cose come stanno: l’LP di Matteo Macchioni è un disco pop crossover, in cui Matteo mette al servizio delle canzoni nuovi colori vocali, frutto del suo amore per il rock, per la musica pop d’autore, e anche di un sano amor proprio, nel senso più artistico del termine. È un progetto che non ha nulla a che vedere con l’opera, proprio nulla. Il punto è che questa distinzione spesso fatica a passare, anche perché nel tempo alcuni interpreti — con tutto il rispetto, non è una critica — hanno proposto un certo tipo di crossover senza mai aver messo piede in teatro. Questo contribuisce a generare confusione nell’immaginario collettivo.
Nel tuo album chiudi con un medley dei Queen, ‘One Vision / Bohemian Rhapsody’. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questi brani e qual è il tuo rapporto con la musica della band di Freddie Mercury?
Io amo i Queen da quando sono bambino. Ho tutti i loro dischi. Quello che mi ha sempre colpito di più è stato Freddie Mercury, non solo come frontman straordinario, ma anche come compositore – insieme agli altri membri della band – e come perfezionista in studio. Mi affascinava tantissimo la sua ricerca continua di una fusione tra suoni provenienti da mondi diversi. Penso a “Bohemian Rhapsody“, a “One Vision“… non è solo contaminazione: lì c’era vera innovazione. Quelle canzoni mi davano e mi danno un’energia incredibile.
Quando interpreto un brano che non è mio, specialmente nell’ambito della musica popolare, non penso mai di farne semplicemente una “cover”. Il mio intento è sempre quello di reinterpretarlo completamente, di dargli una nuova chiave che sia coerente con il mio percorso, con la mia identità artistica. Lo adatto a me, a Matteo Macchioni.
Spesso si dimentica un aspetto importante: gli artisti che non ci sono più, come Freddie Mercury, restano vivi nei dischi, certo, ma la loro musica smette di vivere sul palcoscenico, se non attraverso le cover band o i tributi. A me piace invece prendere in mano quei brani, farli miei, proporli in una veste diversa, che rispetti la scrittura originale ma che sia totalmente nuova nell’interpretazione. Il medley dei Queen nel mio album nasce proprio con questa intenzione: rispetto massimo per la partitura originale, ma uno spirito espressivo personale.
Trovo che la parola “cover” sia davvero brutta. Io preferisco parlare di “rilettura”, perché per me è un modo per portare avanti la musica dei grandi, come i Queen, o anche Battiato, di cui spesso interpreto “La cura“, o Dalla, con Caruso. È un modo per far rivivere quei brani dal vivo. Perché altrimenti ce li ritroviamo solo nel telefono o in un vecchio disco. Sul palco possono continuare a respirare
di Federico Arduini
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- Tag: musica, Musica italiana
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