Mauro Repetto, pubbliche confessioni di un ex 883
Mauro Repetto, pubbliche confessioni di un ex 883
Mauro Repetto, pubbliche confessioni di un ex 883
Ricordo ancora le leggende che giravano sul suo conto: si diceva fosse diventato barbone, c’era chi giurava di averlo visto vestito da Orso Yoghi alla Disneyland parigina, chi pensava fosse stato invece divorato dalla droga, altri invece lo davano per ricoverato e sedato in una clinica psichiatrica. Niente di tutto questo. Mauro Repetto, autore, fondatore e danseur del duo pop di successo gli 883 (l’altro membro, lo sappiamo, è Max Pezzali) aveva fatto ben altro: era semplicemente fuggito. Evaso da un sogno sbagliato, diventato poi un incubo. Una scelta difficile, coraggiosa, direi incredibile.
Pensatevi ricco, all’apice della fama, corteggiato da belle ragazze, adorato da case discografiche e tv, avvolto dall’abbraccio sempre caldo del pubblico. Poi, di botto, vi accorgete che non va bene, che tutto questo non vi riguarda, che vi siete allontanati da quella strada che avevate deciso di percorrere: quella della felicità. E quindi rinunciate a tutto. Sembra impossibile, ma non per un cacciatore di sogni. Mauro Repetto congeda così quel paradiso di ventenne: «Vado a Miami, non so se torno». Stop.
Nelle sue pubbliche confessioni (affidate alla mano esperta di Massimo Cotto, “Non ho ucciso l’uomo ragno”, Mondadori editore), l’ex biondino degli 883 ripassa al setaccio quell’incredibile avventura musicale intercettata e modellata dal genio visionario e re Mida del pop italiano, Claudio Cecchetto: Pavia, la vita di provincia, una coppia di amici (Mauro e Max) che si ritrovano in dialoghi nonsense, si autoghettizzano da amicizie affettuose ma prevenute, si recludono in cantina per seminare canzoni e sognare insieme. Un particolare: non sanno suonare strumento musicale alcuno. Proprio nessuno. Rubano frame strumentali (all’epoca non era vietato) da alcuni pezzi famosi, li assemblano e soprattutto ci versano sopra delle parole: il loro punto di forza. Storie di provincia, stralunate, fumettose, cariche di ormoni maschili e strafighe locali, di follia e speranze tutte giovanili. Le parole, sì. Repetto e Pezzali scrivono i testi così come sono amici: duellando con affetto, proponendo in alternanza un verso a testa (tecnica del ping pong). Le canzoni prendono vita. Partenza lenta, poi l’accelerata improvvisa. In poco tempo I Pop poi divenuti 883 (nome ricavato da un modello di moto Harley) arrivano sulla vetta del monte pop e il resto è storia.
Come detto, Mauro molla sul più bello. Non è a suo agio con la pressione del music business, gli pesa la bollatura di “ballerino stralunato” (a cantare è solo Max) che stampa musicale e fan gli hanno affibbiato anche se con affetto. Il suo sogno si veste di celluloide e così decolla verso gli States. Ad attenderlo ancora una delusione, ma il suo sguardo non si spegne e plana più profondo sulla vita la cui polpa dolce, lo ha capito, va assaporata anche nelle sue parti più amare. E allora Parigi, l’oblio, una famiglia serena, la felicità fatta di piccole cose e quella chitarra Gibson (la più calda e sensuale delle chitarre elettriche) che ora Mauro ha iniziato a studiare. Per tenere in vita una parte del sogno, quello più rock.
di McGraffio
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