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Nei cinema Maria, divina Callas ma senza fuoco

Con il suo nuovo film “Maria” Pablo Larraín torna a raccontare una figura iconica del Novecento, mettendo in scena gli ultimi giorni di Maria Callas

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Nei cinema Maria, divina Callas ma senza fuoco

Con il suo nuovo film “Maria” Pablo Larraín torna a raccontare una figura iconica del Novecento, mettendo in scena gli ultimi giorni di Maria Callas

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Nei cinema Maria, divina Callas ma senza fuoco

Con il suo nuovo film “Maria” Pablo Larraín torna a raccontare una figura iconica del Novecento, mettendo in scena gli ultimi giorni di Maria Callas

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Con il suo nuovo film “Maria” Pablo Larraín torna a raccontare una figura iconica del Novecento, mettendo in scena gli ultimi giorni di Maria Callas

Con il suo nuovo film “Maria” Pablo Larraín torna a raccontare una figura iconica del Novecento, mettendo in scena gli ultimi giorni di Maria Callas. Lo stesso periodo che aveva già scelto Franco Zeffirelli per il suo ultimo film (“Callas Forever” del 2002), con Fanny Ardant nel ruolo della diva. A oltre vent’anni di distanza l’opera di Larraín – che punta invece su Angelina Jolie per interpretare una delle voci soprano più grandi di tutti i tempi – cerca di penetrare nella psiche della protagonista attraverso un gioco di ricordi e illusioni. Ma ci riesce fino a un certo punto.

Ambientato nella Parigi di fine anni Settanta, il film segue Maria Callas mentre riflette sulla propria vita e rivive più o meno illusoriamente le gioie e le tragedie che hanno segnato la sua esistenza. Il regista, che aveva già sondato l’interiorità di figure iconiche come Jackie Kennedy e Lady Diana, in questo caso porta la sua indagine a un nuovo livello fondendo vita e arte, ma sembra rimanere a metà strada fra un approccio autoriale latino-europeo e un’estetica hollywoodiana.

L’interpretazione di Angelina Jolie è intensa e tecnicamente impeccabile, ma la sua bellezza canonica e quasi rinascimentale si scontra con la spigolosità ellenica e impervia della cantante: un’avvenenza scolpita, antica e autentica come il mare e le rocce delle isole greche. Ed è una distanza estetica che emerge in varie scene, come quella in cui Aristotele Onassis (interpretato da Haluk Bilginer) commenta il confronto fra Marilyn Monroe e Maria Callas: la prima è un corpo senza voce, la seconda una voce senza corpo. Risulta difficile immergersi e seguire il dialogo, l’interprete si scinde dalla protagonista. Seppur brava, all’attrice non si alzano quelle antenne proprie di Callas, descritte da Pasolini, capaci di indagare nelle angosce altrui. A Jolie manca quel «certo luccichio di occhi, un certo modo di correre un po’ buffo… e un certo modo di straziare a causa della rassegnazione».

Dal punto di vista narrativo la struttura è monotona – anche se con il terrore che qualcosa cambi – e si dilunga in sequenze che non sembrano sempre giustificate. Un ritmo dilatato che annacqua le emozioni. E, a proposito di emotività, più struggenti risultano i documentari girati sull’artista, fra materiali d’archivio e testimonianze. Esempio emblematico sono i pochi minuti dei titoli di coda, che vedono scorrere immagini reali della divina: il suo sguardo severo, ma dolce e insicuro, è più potente e toccante dell’intero film.

Intorno ad Angelina Jolie c’è un cast di gran livello: Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher nei panni dei domestici Ferruccio e Bruna brillano per autenticità, mentre Valeria Golino – pur nelle poche scene come sorella di Maria – è inappuntabile. Sul piano visivo il film è straordinario: la narrazione si sviluppa attraverso flashback e momenti intimi arricchiti dalla fotografia sublime di Edward Lachman, che alterna sapientemente il bianco e nero al colore e ai formati come il 35mm e il Super 8. Tutto pur di far immergere lo spettatore nel mondo della protagonista. I toni caldi degli ambienti interni e i freddi del mondo esterno sottolineano il conflitto interiore di Maria. Le scelte di regia creano un effetto autentico, evitando il rischio di far sembrare l’opera artificiosa. Il film risulta così in perfetta armonia con l’epoca e l’atmosfera descritte. Non però con il cuore o meglio con la voce dell’opera, che manca di quel fuoco che ha trasformato la divina in un’eterna leggenda.

di Edoardo Iacolucci

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