Nina Simone, voce e impegno
Nina Simone, voce e impegno
Nina Simone, voce e impegno
La storia della musica leggera è costellata di grandi voci, riconoscibili dalla prima nota e impossibili da confondere. Alcune, però, lo sono senz’altro più di altre. Nel breve elenco di quest’ultime non può non essere inserito l’iconico timbro di Nina Simone.
Nata il 21 febbraio di 90 anni fa a Tryon, nella Carolina del Nord, Nina – all’anagrafe Eunice Kathleen Waymon – incontrò la musica da bambina in chiesa dove i genitori, entrambi predicatori metodisti, la portavano ogni settimana. L’amore per il pianoforte, scoccato a soli 3 anni, e la scoperta della sua voce furono quindi solo questione di tempo. Riuscì a studiare grazie a più borse di studio create appositamente per far sì che un così cristallino talento non andasse sprecato.
Secondo alcuni la naturale predisposizione e le doti naturali, secondo altri l’ardente desiderio di diventare la prima concertista classica di colore degli Stati Uniti d’America, la spinsero a migliorarsi sempre di più scontrandosi contro tutto ciò che poteva voler dire essere una giovane donna nera in quegli anni. Quando la sua domanda d’ammissione al Curtis Institute of Music di Filadelfia fu respinta secondo Nina proprio per il colore della sua pelle, decise non solo di non abbandonare il sogno di fare della musica la sua vita, ma anche di farla diventare un mezzo tramite cui dar voce ai soprusi, alle ingiustizie e alle violenze che la sua gente viveva ogni giorno.
“Tutto ciò che è umano può essere sentito attraverso la musica,” – diceva raccontando del suo amore per la musa dalle 7 note – “il che significa che non c’è limite alla creazione che può essere fatta attraverso di essa. Puoi prendere la stessa frase da qualsiasi canzone e tagliarla in tanti modi diversi; è infinita. È come Dio, sai?”.
La sua voce divenne il riflesso dei suoi stati d’animo, sussurrata o profonda, calda o struggente, mentre si esibiva nei locali di Atlantic City con il nome che l’avrebbe resa leggenda, cambiato per far sì che i suoi genitori non potessero sapere dove si esibiva né che musica cantasse.
Perché quel mix unico di Soul e Blues, con sfumature marcate di Jazz e un potente architrave classico, mal si sarebbe sposato all’immagine ormai sbiadita dal tempo della piccola bambina che si esibiva in chiesa. Quando si pensa alle lotte degli afroamericani per i diritti civili nel Sud segregazionista degli Stati Uniti si tende sempre a pensare ai grandi attivisti, alle grandi marce. Tuttavia, fu fondamentale anche quanto fatto da molti artisti come Nina Simone, la quale fu amica, tra gli altri, di Martin Luther King e Malcom X. I suoi brani più importanti divennero veri e propri inni per le proteste: da “Feeling good” a “I Wish I Knew How It Would Feel To Be Free” fino a “Mississippi Goddam” e “To Be Young, Gifted and Black”.
Nina si spense nel sonno nell’aprile del 2003, vent’anni fa, dopo aver affrontato una vita fatta di molte difficoltà, tra cui le violenze domestiche subite dal marito e un disturbo bipolare, diagnosticatole negli anni 80. Tutto questo però non riuscì mai a distoglierla dal suo scopo e dalla sua musica, oggi senza dubbio meno celebrata di quanto meriterebbe.
di Federico Arduini
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche