(Non) il solito sesso al Festival di Cannes
Valeria Golino racconta la sua avventura da regista al debutto nella serialità con “L’arte della gioia”; le parole dell’attore Giuseppe Maggio che diventa Bernardo Bertolucci
(Non) il solito sesso al Festival di Cannes
Valeria Golino racconta la sua avventura da regista al debutto nella serialità con “L’arte della gioia”; le parole dell’attore Giuseppe Maggio che diventa Bernardo Bertolucci
(Non) il solito sesso al Festival di Cannes
Valeria Golino racconta la sua avventura da regista al debutto nella serialità con “L’arte della gioia”; le parole dell’attore Giuseppe Maggio che diventa Bernardo Bertolucci
Valeria Golino racconta la sua avventura da regista al debutto nella serialità con “L’arte della gioia”; le parole dell’attore Giuseppe Maggio che diventa Bernardo Bertolucci
Ancora il solito sesso, al Festival di Cannes. Ma con molte sfumature. Quello pensato al maschile è la stessa minestra, voyeuristica e morbosa, che sia etero (“Motel destino” del brasiliano Karim Aïnouz, in concorso), o gay (“Baby” del brasiliano Marcelo Catano, alla Semaine de la Critique). Le donne invece lo fanno meglio … un ragionamento sul sesso.
È certo il caso di “L’arte della gioia”, la serie che Valeria Golino ha tratto dall’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza. Sì vedrà presto al cinema, in due parti (la prima dal 30 maggio, la seconda dal 13 giugno per Vision Distribution) e poi su Sky e Now.
La puntata 1 è stata mostrata a Cannes, durante un incontro che Golino – amatissima in Francia (dice di lei Thierry Frémaux, delegato generale del Festival: “Un’attrice straordinaria e una regista che ha sempre qualcosa da dire”) – ha regalato al pubblico.
Racconta, con passione, la sua avventura da regista al debutto nella serialità. “Sono sei episodi in tutto. Il libro di Goliarda Sapienza è straordinario. La protagonista, Modesta, è un personaggio femminile unico nella letteratura. Non soltanto italiana”. Spiega Golino in ottimo francese, anche se si scusa per la lingua non sua: “Pardon. Ogni tanto non mi vengono le parole”.
Nella Sicilia di inizio Novecento, la piccola Modesta (Tecla Insolia) di umili origini cresce in un convento riservato alle figlie della nobiltà. La sessualità è per lei uno strumento di libertà. “Figure letterarie di questa natura erano riservate ai maschi. Goliarda Sapienza porta un cambiamento” continua Golino: “Un libro difficilissimo da adattare. Così scabroso, con un erotismo femminile molto pesante. Tanto che la produttrice (Viola Prestieri ndr.) mi ha detto: ma come si fa? “. Risposta: si fa. Onore al merito di tutti.
Con molto rispetto, ed evitando qualsiasi giudizio superficiale e scolastico, la francese Jessica Palud si confronta con la complessa figura dell’attrice Maria Schneider. Il film “Maria”, fuori concorso, prende forma dalla lavorazione del capolavoro di Bernardo Bertolucci “Ultimo tango a Parigi” e dal devastante trauma subito dall’attrice per la scena di violenza sessuale (simulata) sul set, con Marlon Brando e il burro.
Nel film di Palud, la Schneider – nel 1972 era una ventenne – è benissimo interpretata da Anamaria Vartolomei. A Brando presta faccia, voce e movenze un ottimo Matt Dillon. Mentre Bertolucci è Giuseppe Maggio. Attore di fiction, serie e prodotti adolescenziali (“Amore 14”), finora è stato usato poco e male dal cinema adulto. Trova a 31 anni il ruolo della svolta.
L’artista romano incontra La Ragione allo Spazio Campari del Palais du Festival. Sa di avere fatto un gran bel lavoro. Affronta il giovane Bertolucci senza calcare la mano. E nemmeno l’inconfondibile erre moscia, del grande autore emiliano.
“Nella mia interpretazione di Bernardo Bertolucci – spiega Maggio – ho cercato di evitare qualsiasi compiacimento, specie nelle scene più delicate. In caso contrario, gli avrei dato un cinismo che non credo avesse. Quella di “Maria” è l’esperienza più complessa della mia carriera – continua l’attore –. Banalmente recitare in francese e in inglese, dovere prendere peso per il personaggio. Ma soprattutto cercare di approfondirlo il più possibile, per non lasciare niente al caso”.
“Ultimo tango a Parigi” resta, anche per la sua generazione: “Un film estremamente di rottura, che un po’ ha cambiato la storia del cinema”.
Per i colleghi, solo belle parole: “Anamaria Vartolomei è sublime. Penso che Matt Dillon fosse uno dei pochi, forse il solo, che potesse interpretare Marlon Brando”.
Il metodo Brando – icona dell’Actors Studio che diventava, non recitava – ha i suoi seguaci, più o meno coscienti di esserlo. “Il mio ruolo è entrato anche nella parte inconscia di me – conclude Maggio –. Ho sognato un masso che premeva sul mio petto e mia sorella che diceva: ‘Giuseppe, è il tuo ego. Devi liberartene’. In quel periodo, Bertolucci lavorava molto sul concetto di ego. Entrare in contatto con lui è stato estremamente interessante”. Molto più del solito sesso.
di Federico Fumagalli
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