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Oppenheimer

Il valore di “Oppenheimer”

“Oppenheimer“ non è un film di guerra e neppure sulla guerra, è un film sull’anima e la coscienza.
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Il valore di “Oppenheimer”

“Oppenheimer“ non è un film di guerra e neppure sulla guerra, è un film sull’anima e la coscienza.
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Il valore di “Oppenheimer”

“Oppenheimer“ non è un film di guerra e neppure sulla guerra, è un film sull’anima e la coscienza.
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“Oppenheimer“ non è un film di guerra e neppure sulla guerra, è un film sull’anima e la coscienza.
Infine sono riuscito anche io a vedere “Oppenheimer“, il film a oggi considerato strafavorito per gli Oscar. Non aggiungerò una parola a quanto già scritto autorevolmente dal punto di vista della pura critica cinematografica e letteraria. Quanto a queste ultime, vi rimandiamo al bellissimo articolo scritto per La Ragione da Hilary Tiscione relativo alla biografia da cui è tratto il film di Christopher Nolan, mentre – se gradite un consiglio – ancora una volta non abbiamo dubbi sulla critica più efficace e potente: quella firmata da Gianni Canova agevolmente reperibile online. Quanto al nostro modestissimo giudizio, la potenza di “Oppenheimer” risiede nel non dare risposte. Nel non provarci neppure, lasciando lo spettatore a fare i conti con la forza più coriacea e disorientante che esista: quella del dubbio. Nel caso del “padre della bomba atomica“, il dubbio si fa angoscioso conflitto morale, via via più forte e incontrollabile con l’esplodere della corsa agli armamenti e la nascita dell’”equilibrio del terrore“ che oggi possiamo a fatica comprendere. Una paura assoluta, pervasiva, senza limiti. Il film non è didascalico, fornisce gli elementi base per capire ma solo documentandosi, leggendo, approfondendo è possibile ricostruire tanti dei passaggi che l’opera di Nolan lascia volutamente accennati, sospesi o cassati del tutto. Perché “Oppenheimer“ non è un film di guerra e neppure sulla guerra, è un film sull’anima e la coscienza. Immensamente più complesso, affascinante e ambizioso. Perché un pezzo dell’anima dell’umanità – comunque la si pensi – se ne andò a Hiroshima e Nagasaki. Al tempo la gran parte delle persone non aveva gli strumenti per comprendere e sarebbe profondamente ingiusto farne loro una colpa: l’argomentazione per cui i bombardamenti atomici salvarono centinaia di migliaia di vite americane – sacrificando un numero ancora non del tutto definito di vite giapponesi – conserva a tutt’oggi una forza che allora assumeva quasi il valore dell’imperativo categorico. Negarlo, pretendere da chi visse e decise allora i processi mentali e morali dei nostri tempi suona semplicemente ridicolo. Nessuna giustificazione, solo i fatti, così come alcuni di coloro che parteciparono al progetto Manhattan nutrirono dubbi profondi e laceranti e altri non ne provarono affatto o quasi. “Oppenheimer” non giudica, non emette sentenze storiche, viaggia sul filo della coscienza degli individui. Ciascuno per quello che poté e volle in anni segnati dagli atti più empi nella storia dell’umanità. di Fulvio Giuliani

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