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Parthenope, fra giovinezza e rimpianti

Vedere. È questo che ci chiede Paolo Sorrentino nel suo ultimo film “Parthenope”, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes

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Parthenope, fra giovinezza e rimpianti

Vedere. È questo che ci chiede Paolo Sorrentino nel suo ultimo film “Parthenope”, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes

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Parthenope, fra giovinezza e rimpianti

Vedere. È questo che ci chiede Paolo Sorrentino nel suo ultimo film “Parthenope”, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes

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Vedere. È questo che ci chiede Paolo Sorrentino nel suo ultimo film “Parthenope”, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes

Vedere. È questo che ci chiede Paolo Sorrentino nel suo ultimo film “Parthenope”, presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes nel maggio scorso in concorso per la Palma d’oro. Vedere. Prima di tutto immagini di una potenza indimenticabile. Non è un film di trama, piuttosto è un film di vita e di tempo. Un film sulla giovinezza e sui rimpianti, sul dolore e l’amore: «L’amore per provare a sopravvivere è stato un fallimento, oppure no?».

Scandito dagli anni come fossero capitoli: inizia nel 1950 quando nasce Parthenope (Celeste Dalla Porta) in acqua, nel mare di una Napoli che si spoglia, «Dove c’è sempre posto per tutto»; fino ai giorni nostri, quando la protagonista ha il volto di Stefania Sandrelli: una professoressa prossima alla pensione che riceve un applauso da un pubblico di stimati colleghi e studenti e quel pubblico forse siamo tutti noi, seduti in sala con una voglia irrefrenabile di applaudire perché la vita di Parthenope ci riguarda tutti. Con i nostri desideri, i nostri sogni che ci portano però a fare i conti con la giovinezza che ci lascia, ogni giorno, un poco di più e va incontro alla fine, dove il regista al riguardo ci dice: «Alla fine della vita resterà solo l’ironia».

È bravo a livelli sublimi Sorrentino, che compie anche questa volta un altro miracolo. Da “La grande bellezza” che rimbomba anche nella storia di questa donna inebriata dal suo continuo e incessante desiderio di sedurre, bella che quasi fa male guardarla se si pensa allo sguardo degli uomini che le girano intorno (Dario Aita e Daniele Rienzo) che si nutrono della sua bellezza; grande appunto («La bellezza è come la guerra, spalanca le porte»), così intensa che qualcuno ne resta prima annichilito, poi fatalmente distrutto.

Morte e vita: la vita amoreggia con la morte in un’atmosfera sospesa, quasi ordinata e nello stesso tempo carica di colori, suoni, danze, immagini ricolme di prosperità in contrasto con una sceneggiatura scavata e pungente, ridotta al minimo indispensabile in un’ottica dove le parole più sono centellinate e più arrivano potenti. Silvio Orlando – in una delle sue interpretazioni più autorevoli – misura le parole con ferocia, non fa sconti a nessuno, distrugge fogli ricolmi di parole inutili, sembra cercare una forma di intelligenza che sappia amministrare la parola con riguardo, con dedizione e – se è il caso – con spietatezza.

A cosa stai pensando? Questa domanda torna diverse volte nel film, ma risposte non ce ne sono, almeno fino a un certo punto. Piuttosto ci sono domande e la magistrale capacità del regista premio Oscar – senza dubbio uno dei più grandi del pianeta – di raccontare la vita senza mai indottrinare, ma piuttosto ispirare, con una poesia che genera una forma di rispetto e attenzione che non esclude nessuno. Eppure si sente dire in questi giorni che sul film di Sorrentino ci sono pareri discordanti. E meno male! Il cinema non ha certo il compito di raccogliere consensi, di raggruppare un pensiero massificato. Al contrario, deve lasciarci liberi di pensare. Liberi di esprimere i conflitti, le resistenze, le diversità nel modo di vedere e di sentire di ognuno.

Il regista partenopeo – che anche qui dichiara il suo amore per Fellini (non poteva mancare, come non manca l’amore per il calcio) – ci lascia liberi di domandare anche a noi stessi: «A cosa stai pensando?». Solo alla fine c’è una risposta: «A tutto il resto». E dunque: «Quando si impara a vedere?». «Quando manca tutto il resto».

di Hilary Tiscione

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