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Paure e profezie

Il politically correct colpisce anche “Don’t Look Up”, svelando così il suo animo eccessivamente critico ed inutile.
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Paure e profezie

Il politically correct colpisce anche “Don’t Look Up”, svelando così il suo animo eccessivamente critico ed inutile.
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Paure e profezie

Il politically correct colpisce anche “Don’t Look Up”, svelando così il suo animo eccessivamente critico ed inutile.
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Il politically correct colpisce anche “Don’t Look Up”, svelando così il suo animo eccessivamente critico ed inutile.
Se vedi una parodia di Trump presidente ti metti a ridere del povero scemo, se invece la parodia è su un presidente donna un po’ scemo (pur interpretato da una grande attrice) allora è lesa maestà di genere, come narrano le domande infastidite dei giornalisti politically correct nelle conferenze stampa di presentazione del film. Basterebbe questo per capire la forza di un film imperfetto come “Don’t Look Up”; da uno scocciatissimo “New York Times” a velenosi commenti social si intuisce che era certamente nella mente del regista buttare il petardo della scorrettezza senza prendere però partito, anzi irridendoli ambedue oltre la parodia cinematografica. Basterebbe questo per guardarlo, ma c’è di più oltre al cast e alle innumerevoli figure retoriche e citazioni disseminate con umorismo, sarcasmo e autoironia nella sceneggiatura: è evidente che, nonostante la assuefazione globale al politically correct, l’Atlantico sia più largo e stentiamo a comprendere le idiosincrasie che permeano la società americana, così diverse dal passato che le interpretazioni sul significato dell’asteroide divergono manco fosse il monolite di Kubrick. Di più – e stentano però anche in America – non comprendiamo che il regista non partecipa a una guerra destra-sinistra, pro o contro il climate change o tra vaccini e no-vax in pandemia. Non dichiara colore nonostante il tentativo di arruolarlo nelle file del climate change, dichiara che quei temi sono in sé così autoreferenti e i protagonisti così narcisisti nelle loro verità assolute da non portare ad alcuna conclusione razionale: il film parla di loro ma si sente ‘altro’ da loro. Ci dice che le profezie tecnologiche hanno rotto e che la paura non è più quella degli umori impestanti del gigantesco “Stranamore” o dei dozzinali da fine del mondo dove i predicatori sono un topos: non c’è spazio per loro in una società americana che non è più animata da re-born compassionate conservativism sostituito da un dissacrante «Avevamo tutto», la citazione universale del film. “Don’t Look Up” non è un titolo, è un principio di cittadinanza, se vuoi stare al mondo non provare a smontarlo come ha fatto il regista. Ma godiamoci la sadica sagacia, magari parlandone a cena con Brie Evantee / Cate Blanchett strepitosamente intelligente, cinica con sé stessa e di folgorante cruda sensualità. di Flavio Pasotti

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