
Perché “soffriamo” quando muore un personaggio tv? La risposta della scienza
Un oceano di persone ha voluto ricordare sui social la morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio Mediaset. In 25 anni di carriera avrà pronunciato 10 parole. Perché restiamo così colpiti quando muore un personaggio tv? La teoria della “parentela mediatica”.
Perché “soffriamo” quando muore un personaggio tv? La risposta della scienza
Un oceano di persone ha voluto ricordare sui social la morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio Mediaset. In 25 anni di carriera avrà pronunciato 10 parole. Perché restiamo così colpiti quando muore un personaggio tv? La teoria della “parentela mediatica”.
Perché “soffriamo” quando muore un personaggio tv? La risposta della scienza
Un oceano di persone ha voluto ricordare sui social la morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio Mediaset. In 25 anni di carriera avrà pronunciato 10 parole. Perché restiamo così colpiti quando muore un personaggio tv? La teoria della “parentela mediatica”.
Un oceano di persone ha voluto ricordare sui social la morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio Mediaset. In 25 anni di carriera avrà pronunciato 10 parole. Perché restiamo così colpiti quando muore un personaggio tv? La teoria della “parentela mediatica”.
Ha lasciato attoniti la notizia della morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio delle principali trasmissioni Mediaset, deceduto a soli 51 anni lo scorso venerdì dopo un malore al termine di una partita di calcetto. Sonaglia lavorava per “Uomini e donne”, “C’è posta per te” e “Tu si que vales”, quasi una presenza familiare.
Ma l’aspetto più incredibile di questa vicenda è la vastissima quantità di messaggi sui social da parte di persone comuni affezionate ai programmi tv a cui l’uomo ha preso parte: parole di dolore e attestati di stima che confermano la teoria della “parentela mediatica” del sociologo Marshall McLuhan, secondo la quale “tra il pubblico e chi è stato (o è ancora) protagonista in televisione, si stabilisce un grado di parentela”.
Se, però, il sociologo canadese si riferiva ai protagonisti assoluti del mezzo televisivo – conduttori e showgirl alla pari di Raffaella Carrà, Raimondo Vianello o Fabrizio Frizzi – fa uno strano effetto pensare che un’affezione così forte possa manifestarsi anche verso un professionista che in tv viene inquadrato pochi secondi, senza parlare o fare altro, se non le mansioni relative al dietro le quinte.
Quello di Piero Sonaglia non è il primo caso. Come dimenticare il “famoso” Mario, assistente di studio del “Grande Fratello”, che aveva il compito di consegnare la busta con il nome del concorrente eliminato alla conduttrice e che il pubblico acclamava non appena sentiva il suo nome! Figure professionali semi-sconosciute affiancate ad autori o registi certamente più noti, con il quale il pubblico instaura un legame emotivo simile a quello con un parente stesso.
Pensiamo, ancora, ai celebri autori di Paolo Bonolis, Stefano Jurgens e Marco Salvati, insieme agli indimenticabili Gianni Boncompagni e Antonello Falqui, che hanno rivoluzionato la televisione italiana con le loro idee autoriali e registiche.
È un dispiacere che il pubblico sembra non poter fare a meno di manifestare. Un po’ come quando artisti del calibro di Phil Collins e Jim Carrey danno l’addio alle scene. Verrebbe da pensare che con il personaggio (e la persona) muoia anche un po’ il suo pubblico.
Di Alessia Luceri
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