Ha lasciato attoniti la notizia della morte di Piero Sonaglia, storico assistente di studio delle principali trasmissioni Mediaset, deceduto a soli 51 anni lo scorso venerdì dopo un malore al termine di una partita di calcetto. Sonaglia lavorava per “Uomini e donne”, “C’è posta per te” e “Tu si que vales”, quasi una presenza familiare.
Ma l’aspetto più incredibile di questa vicenda è la vastissima quantità di messaggi sui social da parte di persone comuni affezionate ai programmi tv a cui l’uomo ha preso parte: parole di dolore e attestati di stima che confermano la teoria della “parentela mediatica” del sociologo Marshall McLuhan, secondo la quale “tra il pubblico e chi è stato (o è ancora) protagonista in televisione, si stabilisce un grado di parentela”.
Se, però, il sociologo canadese si riferiva ai protagonisti assoluti del mezzo televisivo – conduttori e showgirl alla pari di Raffaella Carrà, Raimondo Vianello o Fabrizio Frizzi – fa uno strano effetto pensare che un’affezione così forte possa manifestarsi anche verso un professionista che in tv viene inquadrato pochi secondi, senza parlare o fare altro, se non le mansioni relative al dietro le quinte.
Quello di Piero Sonaglia non è il primo caso. Come dimenticare il “famoso” Mario, assistente di studio del “Grande Fratello”, che aveva il compito di consegnare la busta con il nome del concorrente eliminato alla conduttrice e che il pubblico acclamava non appena sentiva il suo nome! Figure professionali semi-sconosciute affiancate ad autori o registi certamente più noti, con il quale il pubblico instaura un legame emotivo simile a quello con un parente stesso.
Pensiamo, ancora, ai celebri autori di Paolo Bonolis, Stefano Jurgens e Marco Salvati, insieme agli indimenticabili Gianni Boncompagni e Antonello Falqui, che hanno rivoluzionato la televisione italiana con le loro idee autoriali e registiche.
È un dispiacere che il pubblico sembra non poter fare a meno di manifestare. Un po’ come quando artisti del calibro di Phil Collins e Jim Carrey danno l’addio alle scene. Verrebbe da pensare che con il personaggio (e la persona) muoia anche un po’ il suo pubblico.
Di Alessia Luceri
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