Il massimo pittore d’Olanda, volto di spicco del “secolo d’oro” neerlandese e più in generale dell’arte europea: Rembrandt Harmenzoon van Rijn rappresenta un grande simbolo di talento e di creatività, disposto a tutto per di mantenere intatta la sua libertà.
Il documentario “Il mio Rembrandt” di Oeke Hoogendijk – nei cinema italiani i prossimi 6, 7, 8 giugno con Nexo Digital in collaborazione con Piece of Magic – ci mostra cosa rende il lavoro del pittore olandese così speciale e perché le sue opere tocchino le persone tanto profondamente.
Rembrandt ha sempre guardato sotto la superficie, decidendo di andare oltre la giustapposizione di colori e forme. Per il critico d’arte Simon Schama il suo obiettivo è sempre stato diffondere una riflessione sulla condizione umana, dai mendicanti agli uomini di potere: la verità in ogni situazione, in ogni gesto, in ogni dettaglio. Anche grazie allo straordinario utilizzo del fattore luce, la potenza delle opere di Rembrandt è connessa alla sua capacità di vedere quello che la posa nasconde.
Per questo motivo nessuno ha mai dipinto ritratti più intensi dei suoi. Ognuno può ritrovarvi emozioni, turbamenti, domande, dubbi. «È come se il suo lavoro avesse una veridicità, un’emotività e un’empatia così straordinarie che chiunque guardi un suo dipinto vada alla ricerca di sé stesso», l’analisi più che condivisibile di Oeke Hoogendijk.
Ma come già rimarcato in precedenza, Rembrandt è soprattutto un simbolo di libertà. Non si è mai piegato ai suoi committenti, non li ha mai lusingati. Pur spogliato di fortune e illusioni, decise di allontanarsi dal gusto moderno per rimanere fedele a sé stesso. Il suo lavoro subì una profonda trasformazione nel 1642, a seguito della morte dell’amata Saskia. I critici lo presero allora di mira.
Non fu più considerato esponente d’avanguardia, ma un pittore datato. Il resto è storia: il suo catalogo non ha eguali, il suo stile è immortale.
di Massimo Balsamo
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