Riti e miti nazionalpopolari
Sanremo è come una celebrazione che si ripete da 72 anni con i suoi riti e miti condensati in cinque giorni di febbre a 40. Spesso per l’esaltazione dell’ovvio.
Riti e miti nazionalpopolari
Sanremo è come una celebrazione che si ripete da 72 anni con i suoi riti e miti condensati in cinque giorni di febbre a 40. Spesso per l’esaltazione dell’ovvio.
Riti e miti nazionalpopolari
Sanremo è come una celebrazione che si ripete da 72 anni con i suoi riti e miti condensati in cinque giorni di febbre a 40. Spesso per l’esaltazione dell’ovvio.
AUTORE: Fabio Santini
La cronaca sui dati della pandemia – con il suo mesto incedere di contagi, ricoveri, decessi – e l’ossessiva litania delle aperture dei telegiornali sull’elezione del presidente della Repubblica tra qualche giorno lasceranno il passo al Festival di Sanremo che, parafrasando il grande Gianni Brera, è come il Campionato di calcio o il preservativo: un male necessario.
Sanremo è lo specchio della continuità democristiana. È la celebrazione ripetuta da 72 anni dei suoi riti e dei suoi miti condensati in cinque giorni di febbre a 40 per l’esaltazione dell’ovvio. Uno dei promo di Amadeus, presentatore e direttore della kermesse, recita con biblica pomposità: “Il luogo da cui tutto parte”. Ridondante finché si vuole ma purtroppo realistico.
Sanremo è un adagio ripetitivo, con le sue scosse e le sue improponibili minacce. Come la ventilata esclusione di Gianni Morandi dal listone dei partecipanti, reo di aver fatto ascoltare involontariamente una piccola parte del suo pezzo, il che – secondo l’assurda liturgia sanremese – è vietato ai cantanti in gara. Nulla di più irreale.
Amadeus ha voluto ricreare per questa edizione sanremese la rivalità fra Morandi e Ranieri che fece nella notte dei tempi le fortune di “Canzonissima”, figuratevi se avrebbe rinunziato all’idea. Magari aveva pensato a una reunion dell’anno. Dopo quella dei Ricchi e Poveri, poteva tentare il colpo dei New Trolls o dei Matia Bazar nelle loro formazioni originali. Ma sarebbe stata una fatica teutonica.
Meglio declinare sul botto sicuro al cento per cento: il ritorno dei Maneskin che dall’Ariston sono partiti destinazione mondo e oggi vi tornano da trionfatori planetari. Sarà quello dei ragazzi romani il vero evento musicale, oltre agli immancabili omaggi ai big che ci hanno lasciato: Battiato, Carrà, Dalla e Milva.
E le canzoni? E i cantanti che dal Festival e dalla sua gara fratricida cercano rilanci o nostalgiche conferme? Interessano soprattutto all’inevitabile cassa di risonanza delle radio. La gente vuole ben altro perché – come riflette il leggendario ex disc jockey di Radio Monte Carlo Awana Gana – «oggi i cantanti ci sono ancora?».
I 10-15milioni di italiani incollati davanti al video aspettano di tornare a sganasciarsi dalle risate con Checco Zalone o Roberto Benigni. Si aspettano di condividere il giorno dopo i commenti al vetriolo sui look delle primedonne che affiancano il presentatore, sull’italiano un po’ ciociaro della Ferilli, sulle inevitabili gaffe della diretta. Di vedere come se la cava Drusilla Foer, alter ego di Gianluca Gori, 54 anni – non chiamatelo né travestito né nobildonna – inserito secondo la logica del politicamente corretto fra le primedonne dell’Ariston. Si aspettano le battute e i lazzi di Fiorello o di sapere come vanno gli eventi paralleli al Festival, ad esempio la Rassegna della canzone cristiana o il compleanno di “Tv Sorrisi e Canzoni” che quest’anno compie 70 anni di vita e di potere nel mondo dello spettacolo italiano. E che una volta, proprio in occasione delle serate sanremesi, raggiungeva i 3 milioni e mezzo e passa di copie vendute. Quei numeri non ci sono più. Ma Sanremo è rimasto, baluardo di un tempo immobile che ripete sé stesso.
di Fabio Santini
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- Tag: sanremo, televisione
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