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Se la canzone è divisiva

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Forse non è una grande idea quella del cantautore Venditti, che ha proposto al ministro della Cultura di introdurre nella Costituzione la nostra canzone pop

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Se la canzone è divisiva

Forse non è una grande idea quella del cantautore Venditti, che ha proposto al ministro della Cultura di introdurre nella Costituzione la nostra canzone pop

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Se la canzone è divisiva

Forse non è una grande idea quella del cantautore Venditti, che ha proposto al ministro della Cultura di introdurre nella Costituzione la nostra canzone pop

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Forse non è una grande idea quella del cantautore Venditti, che ha proposto al ministro della Cultura Sangiuliano di introdurre nella Costituzione la nostra canzone pop. Il politico di destra ha accettato la proposta dell’artista di sinistra, nell’idea che il nostro storico repertorio nazional musicale possa esaltare i comuni valori bipartisan. Senonché nulla divide di più la società della musica definita leggera.

Protagonisti attuali, come Fedez o i Måneskin, non si direbbero adatti a incarnare l’unità nazionale in un Paese non diciamo di anziani (brutta parola) ma certo di maturi longevi. Quelli che erano bambini quando Nilla Pizzi dedicava “Vola Colomba” all’amore confinato nella Trieste jugoslava del comunista Tito. Canzone sentimental-democristiana, che sfiorava la provocazione con versi come: «Noi lasciavamo il cantiere lieti del nostro lavoro», quando è noto che a sinistra lavoro e letizia raramente si integrano. Gli stessi che avevano vent’anni quando Edoardo Vianello celebrava i Watussi, «gli altissimi negri». Ahi, ecco un altro ostacolo. Rincara la dose Fausto Leali con “Angeli Negri”. Meglio di no.

Intanto si è accanito lo scontro tra melodici e urlatori, e rispettive truppe armate, con l’industria interessata a esasperare il contrasto a favore dei ‘giovani d’oggi’, categoria buona per tutte le stagioni. ‘Ragazzi del juke-box’ contro ‘matusa’ (i boomer di allora): poco inclusivo. Mentre la quindicenne Cinquetti non ha l’età, non sentendosi pronta per l’amore: e qualche commentatore, più ottuso che progressista, afferma trattarsi di brano reazionario. Sarebbe stata rivoluzionaria una ragazzina che si fosse offerta a chiunque? Ma per favore.

Tra canzoni rockswing, d’autore, colte o di largo consumo non manca un’infinità di generi, spesso in forte antitesi. Tra Renato Zero e Natalino Otto si moltiplicano abissali algoritmi. De André non è Orietta Berti. E nemmeno De Gregori, Paoli o Tenco. Il cantautore incarna una figura problematica e sofferta, spesso scontrosa: nessuna realtà, nessun governo può andargli bene. Se non è lirico come il grande Endrigo, si fa rudemente comiziale come Paolo Pietrangeli: «Compagni dai campi e dalle officine prendete la falce e portate il martello». Ancora poco prima erano in voga armonie delicate e gentili, come “Romantica” o “Carina”, brani concilianti per grandi e piccini. Loredana Bertè non è una signora, perciò è un caso a parte. Oggi imperversa un rapper, tale Junior Cally, che canta «Si chiama Gioia perché fa la troia», cui saremmo tentati di contrapporre “Son tutte belle le mamme del mondo”. Mentre un’arietta innocente come “Finché la barca va” potrebbe farsi metafora del nostro debito pubblico, con imprevedibili reazioni dello spread. Da escludere. Last not least, ci sarebbe un motivo musicale vecchiotto ma di una certa solennità: l’Inno di Mameli. Potrà mettere d’accordo tutti?

di Gian Luca Caffarena

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