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La serie tv “Tutto chiede salvezza”, i motivi per non perdersela

“Tutto chiede salvezza” parla di un tema importante e regala spiragli di autentica umanità fino a commuovere

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La serie tv “Tutto chiede salvezza”, i motivi per non perdersela

“Tutto chiede salvezza” parla di un tema importante e regala spiragli di autentica umanità fino a commuovere

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La serie tv “Tutto chiede salvezza”, i motivi per non perdersela

“Tutto chiede salvezza” parla di un tema importante e regala spiragli di autentica umanità fino a commuovere

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“Tutto chiede salvezza” parla di un tema importante e regala spiragli di autentica umanità fino a commuovere

Ci sono temi che sono difficili da affrontare, e ancora più difficili da raccontare al “grande pubblico”. Quello del disagio mentale, di cui tanto si parla ma di cui in verità si fa ancora fatica a prendere coscienza, a non vedere come una sorta di “onta”, è uno di questi. Ed è soltanto il primo dei motivi per cui “Tutto chiede salvezza”, la serie televisiva ispirata al romanzo che racconta la storia vera di Daniele Mencarelli, merita di essere visto. La seconda stagione è uscita su Netflix da alcune settimane, impreziosita dalla presenza di Drusilla Foer, segue le vicissitudini dei protagonisti della prima serie e introduce nuovi personaggi. Senza spoiler, va però sottolineato come raccontare di ricoverati con Trattamento Sanitario Obbligatorio, farlo senza scadere in troppi luoghi comuni, farlo riuscendo a rendere un tema così complesso fruibile in una modalità come quella della serie tv, è una grande cosa. E non è più cosi raro che produzioni a firma italiana affrontino tematiche complesse e riescano a conquistare tanto pubblico. Esempio principe ne è ovviamente “Mare Fuori”. Ma non unico e non ultimo.

Perché è vero che spesso ci si mette davanti alla televisione per alleggerire, per svagarsi, e certo il Tso non è un tema leggero. Però ci sono racconti, soprattutto quando ispirati a storie vere, che arricchiscono. E possono contribuire a eliminare tabù culturali che non fanno bene a nessuno. Perché il primo passo, per curare questi disturbi, è riconoscerli. È non vergognarsi di chiamarli con il loro nome. É non pensare che basti un’etichetta a descrivere chi ne soffre, perché sono persone, sono molto di più che una definizione clinica. Perché possono regalare spiragli di autentica umanità e commuovere. Come i protagonisti, bravissimi, di questa serie che a parere di chi scrive tutti dovrebbero guardare. 

di Annalisa Grandi

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