Un’iniziativa per riconoscere l’hip hop come patrimonio dell’Unesco
L’hip hop potrebbe diventare patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Premessa d’obbligo: non sappiamo se questa idea mai si concretizzerà ma qualora accadesse sarebbe tutto fuorché un’ingiustizia. Ecco perché
Un’iniziativa per riconoscere l’hip hop come patrimonio dell’Unesco
L’hip hop potrebbe diventare patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Premessa d’obbligo: non sappiamo se questa idea mai si concretizzerà ma qualora accadesse sarebbe tutto fuorché un’ingiustizia. Ecco perché
Un’iniziativa per riconoscere l’hip hop come patrimonio dell’Unesco
L’hip hop potrebbe diventare patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Premessa d’obbligo: non sappiamo se questa idea mai si concretizzerà ma qualora accadesse sarebbe tutto fuorché un’ingiustizia. Ecco perché
L’hip hop potrebbe diventare patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. L’iniziativa parte dall’Italia: la settimana scorsa Roma ha ospitato due giornate di incontri, laboratori e dialoghi promosse da Hip Hop Cinefest e Hip Hop Protection – con il supporto dell’Ecomuseo Casilino ad Duas Lauros e di diversi partner culturali e accademici – con l’obiettivo di creare un ponte fra comunità artistiche, mondo accademico e istituzioni e avviare l’iter verso il riconoscimento internazionale dell’hip hop da parte dell’Unesco.
Hip hop patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Non sarebbe certamente un’ingiustizia
Premessa d’obbligo: non sappiamo se questa idea mai si concretizzerà (anche se è andata a buon fine una analoga presentata lo scorso anno per la techno di Berlino), ma qualora accadesse sarebbe tutto fuorché un’ingiustizia.
La maggior parte delle persone non conosce realmente questo genere. E spesso se ne parla a sproposito
Partiamo da un presupposto, fondamentale per comprendere il nostro ragionamento: la maggior parte delle persone non conosce realmente l’hip hop e in troppi parlano di questo genere musicale senza cognitio causae.
Inoltre, un’enorme fetta di coloro che oggi vengono definiti rapper in realtà non lo è affatto e, anzi, ciò che ascoltiamo non ha proprio nulla a che fare con il vero hip hop.
E mentre prima i gangster facevano i rapper per uscire dal ghetto, oggi assistiamo a rapper che fanno (e pure male) i gangster facendo finta di vivere nel ghetto.
L’hip hop non è composto solo da “drogati che dicono parolacce senza motivo” ed è opportuno fare in modo che questo luogo comune sballato e senza senso venga smontato una volta per tutte.
Il vero hip hop è altro
Il vero hip hop è altro. E dalla sua nascita ufficiale (l’11 agosto 1973, nel Bronx) questo genere – con le sue quattro ‘discipline’: MCing (la parte orale), DJing (la parte musicale), Writing (la parte scritta) e B-boying (la parte ballata) – ha influenzato la società.
L’hip hop non è soltanto musica e divertimento. È un movimento che nel corso del tempo è cresciuto diffondendosi in tutto il mondo. È cultura, protesta, occasione di rivincita e riscatto sociale.
I protagonisti sono coloro che in passato non hanno mai avuto voce in capitolo, considerati scarti della società.
E quella voce inizialmente inascoltata – a suon di rime e sì, anche di termini volgari – si è fatta sentire ben oltre lo spazio del ghetto.
Un esempio su tutti: Tupac Shakur
Prendiamo a esempio colui che viene considerato come uno fra i migliori (se non il più grande in assoluto) rapper di tutti i tempi: Tupac Shakur, il “Makaveli” (così veniva soprannominato) del rap.
Morto il 13 settembre 1996 a soli 25 anni a seguito di un agguato a colpi di pistola, è stato ed è ancora oggi un simbolo di protesta.
Gran parte del suo lavoro si concentra su questioni sociali (i ghetti ma non solo) e nelle sue parole – attraverso un gergo duro, diretto e violento – esprime con rabbia la voglia di combattere le ingiustizie sociali e razziali.
Il linguaggio aggressivo, considerato divisivo dalla società, è utilizzato con finalità ben precise.
Un episodio emblematico.
Un episodio emblematico: Eminem contro Will Smith
Nel 1999 l’attore, produttore e rapper Will Smith trionfa nella categoria “Miglior video maschile” agli Mtv Ema (battendo fra gli altri Eminem) e quando ritira il premio, nel suo discorso di ringraziamento, afferma: «Non ho mai ucciso nessuno nei miei dischi, non ho mai usato parolacce e sono comunque riuscito ad arrivare fin qui».
Smith non fa nomi ma con le sue parole si schiera contro un’intera categoria di rapper: coloro che fanno gangsta rap e che utilizzano certi termini.
Le sue parole danno fastidio in particolare a una persona: Eminem, qualcuno che nel mondo rap è fortemente consigliabile non mettersi contro.
Proprio Eminem, nel celebre brano “The Real Slim Shady”, risponde a modo suo: «Will Smith non ha bisogno di imprecare per vendere dischi. Beh, io sì, quindi fanc*lo lui e fanc*lo anche voi».
Poi in un’intervista spiegherà il suo intervento con parole che rappresentano perfettamente ciò che abbiamo provato a descrivere finora: «Non tutti vedono la vita felice e positiva come la vede lui. Quindi se Smith vede la vita fatta di uccelli e api e vuole rappare di fiori, allora lasciate che faccia rime su uccelli, api e fiori».
In breve: ognuno racconta ciò che vuole nel modo in cui preferisce farlo e nella maniera in cui gli riesce meglio.
Poi, basta avere la capacità di andare oltre il turpiloquio.
di Filippo Messina
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- Tag: musica, spettacoli
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