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Whitney brilla ancora

A dieci anni dalla sua scomparsa, il mito di Whitney Houston non sembra risentire del passare del tempo raggiungendo l’ennesimo record. Artista indimenticabile, fondamentale e terribilmente fragile.
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Whitney brilla ancora

A dieci anni dalla sua scomparsa, il mito di Whitney Houston non sembra risentire del passare del tempo raggiungendo l’ennesimo record. Artista indimenticabile, fondamentale e terribilmente fragile.
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Whitney brilla ancora

A dieci anni dalla sua scomparsa, il mito di Whitney Houston non sembra risentire del passare del tempo raggiungendo l’ennesimo record. Artista indimenticabile, fondamentale e terribilmente fragile.
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A dieci anni dalla sua scomparsa, il mito di Whitney Houston non sembra risentire del passare del tempo raggiungendo l’ennesimo record. Artista indimenticabile, fondamentale e terribilmente fragile.
Sono passati già dieci anni dalla scomparsa di Whitney Houston ma la sua musica continua a macinare record. È notizia di qualche settimana fa il raggiungimento del raro traguardo del disco di diamante per la sua hit più iconica, “I Will Always Love You”, scritta da Dolly Parton nel 1974 e reinterpretata da Whitney per la colonna sonora del celebre film “Guardia del corpo”, che la vide protagonista sul grande schermo con Kevin Costner. Il brano ha raggiunto oltre dieci milioni di copie, vendute o riprodotte in streaming certificato, nei soli Stati Uniti. Una cifra da capogiro che testimonia, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto ancora brilli forte la stella della Houston con il suo talento cristallino, contraltare di una profonda e troppo spesso malcelata fragilità. Al canto si avvicinò fin da piccolissima, evidentemente destinata a dialogare con la quinta arte, emergendo a tal punto nel coro della New Hope Baptist Church da diventarne solista all’età di soli undici anni. A guidarne i passi c’era la madre Emily Drinkard Houston, meglio nota come Cissy, voce soul del gruppo The Sweet Inspirations, che fu spalla di artisti del calibro di Elvis e Aretha Franklin e perfino partecipante a Sanremo 1969. Cissy volle che la figlia finisse gli studi, rifiutando per lei – che nel frattempo si era dedicata alla carriera da modella – ben due proposte discografiche. Dopo alcune comparsate in vari dischi la svolta per la Houston arrivò nel 1983 quando che Gerry Griffith, un rappresentante della Artista Records, la vide esibirsi con sua madre, come tante volte accaduto, in una discoteca di New York. Folgorato da ciò che aveva sentito, convinse il suo capo Clive Davis ad andarla a sentire. Il resto è storia: Davis offrì immediatamente un contratto discografico mondiale alla Houston che, dopo qualche tentennamento, finalmente firmò. Da lì iniziò a collezionare un successo dopo l’altro, diventando ben presto un’icona: in carriera ha venduto oltre 200 milioni di dischi, tracciando un solco indelebile nella storia della musica pop. Seppe unire in sé tutte quelle correnti e tradizioni vocali figlie della black music che ancora non avevano trovato una vera continuità d’interpreti, un definitivo riconoscimento dal grande pubblico. Lei fu pioniera e riuscì là dove nessuno era riuscito prima, unendo all’anima eterea del soul l’energia e il mood del rhythm and blues, innalzando il suo canto sull’altare del mainstream. Aprì così la strada ad artisti che senza la sua musica e il suo esempio non avrebbero mai trovato spazio. Una vita costellata di successi ma anche di ombre, che però non le impedirono di iscrivere il proprio nome nel firmamento degli artisti più grandi di sempre. Questa battaglia interiore, senza la quale forse la sua musica non sarebbe stata la stessa, cessò definitivamente l’11 febbraio 2012 nel bagno di un hotel di Beverly Hills, quando Whitney aveva solo 48 anni e da qualche tempo sembrava aver ripreso in mano vita e carriera. Se le circostanze della morte sono tutt’ora poco chiare, appare invece più che certa la sua duratura importanza nella storia della musica.   di Federico Arduini

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