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Ancelotti Ct del Brasile. Sarebbe Storia

L’indiscrezione sull’arrivo di Ancelotti sulla panca dei pentacampeao torna a correre forte
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Ancelotti Ct del Brasile. Sarebbe Storia

L’indiscrezione sull’arrivo di Ancelotti sulla panca dei pentacampeao torna a correre forte
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Ancelotti Ct del Brasile. Sarebbe Storia

L’indiscrezione sull’arrivo di Ancelotti sulla panca dei pentacampeao torna a correre forte
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L’indiscrezione sull’arrivo di Ancelotti sulla panca dei pentacampeao torna a correre forte
Carlo Ancelotti e il Brasile. Un intreccio suggestivo, attraente, intriso di storia del calcio. Il tecnico più vincente in Europa e che ha sempre privilegiato i piedi buoni, che ha costruito squadre, dinastie sulla qualità tecnica dei suoi calciatori, che si siede sulla panchina della nazionale dei giocolieri per eccellenza, gli eredi – in verità un po’ sfioriti – dello joga bonito.

L’indiscrezione sull’arrivo di Ancelotti sulla panca dei pentacampeao torna a correre forte. Ci sono state mezze ammissioni, dal portiere del Manchester City Ederson, sino alla comunità brasiliana al Real, da Militao, Rodrigo e Vinicius Jr, la gemma del calcio brasiliano che Ancelotti a Madrid ha saputo coltivare e lanciare tra le stelle.

Le voci in realtà si rincorrono da oltre un mese. La federcalcio brasiliana – attraverso un comunicato ufficiale – e lo stesso Ancelotti si sono affrettati a smentire l’indiscrezione, anche perché la stagione del Real Madrid è ancora in corso, secondo in classifica nella Liga e ai quarti di finale di Champions League. Una volta chiusa la “temporada”, le parti potrebbero sedersi al tavolo e ratificare un accordo storico: mai la nazionale verdeoro si è affidata a un tecnico europeo. Sarebbe l’implicita, dolorosa ammissione da parte della locomotiva del calcio mondiale sulla qualità più alta dei tecnici europei. Un duro colpo all’autostima, in caduta libera dopo i Mondiali qatarioti. Per ora non c’è neppure il sostituto di Tite, Ruben Menezes è un ct a tempo limitato.

Insomma, destini che forse si incrociano, sogni che si intersecano. E una certezza: dopo i Mondiali vinti dall’Argentina di Leo Messi, il Brasile è pronto a tutto per tornare a vincere. Non alza la Coppa del Mondo dal 2002, dal trio Ronaldo-Rivaldo-Ronaldinho: troppe edizioni senza il successo della Selecao, è accaduto solo nel periodo tra il 1970 e il 1994: i brasiliani non ci sono abituati, da sempre convinti di essere gli inventori della formula del calcio. Inoltre, i Mondiali 2026 si giocano vicino casa, tra Usa, Canada e Messico. Anche in Qatar mica mancava il talento, piuttosto si avvertiva la difficoltà a far arrivare alle avversarie che quello era il Brasile, con la sua storia, la sua abitudine a vincere e a meravigliare.

Il Brasile continua a produrre talenti, forse non come prima, forse mancano attaccanti degni della sua tradizione – ed è un problema in comune con diverse nazionali, compresa l’Italia – ma soprattutto manca il collante, la guida esperta e consapevole in grado di indirizzare le quantità industriali di talento. Manca Ancelotti, appunto. Potrebbe essere davvero l’incastro giusto. La federcalcio brasiliana, anche prima dei Mondiali in Qatar, aveva pensato a Pep Guardiola, alla sua idea di calcio totale che da sempre è nelle corde dei sudamericani. Pep pare non esserci, Carlo sì.

Per l’allenatore emiliano, dopo il ritorno trionfale al Real Madrid con il successo in Champions della scorsa stagione, sarebbe un po’ The Last Dance, l’ultimo ballo nel calcio d’elite: ha più volte spiegato che non allenerà in eterno, che gli piace vivere in Canada (paese della moglie), è consapevole che con ogni probabilità si andrà a chiudere al Madrid (anche se il suo contratto scade nel 2024) lo straordinario ciclo che ha portato cinque Champions in nove anni, la straordinaria generazione di Modric, Kroos, Benzema. Per suggellare una carriera con poche macchie – qualcosa o forse più che qualcosa che non è andato al Napoli e poi all’Everton – quale sfida è più intrigante di riportare in vetta il Brasile in vetta al mondo? Un tuffo nell’adrenalina per Ancelotti, uno stimolo per aggiungere un altro capitolo alla sua leggenda. Anche il rischio di un fallimento, che forse è quel brivido che serve per continuare a restare sulla corda. L’ignoto del calcio, che è poi quello che muove, assieme al terrore del post-carriera – che spesso blocca, ipnotizza i campioni – anche Zlatan Ibrahimovic, tornato a 42 anni in nazionale, dopo il rientro da titolare – con gol, su rigore – al Milan. Lo svedese ha confessato ai suoi compagni di nazionale che è spaventato dal ritiro. Per chi è abituato a vincere, perdere, competere da decenni, quella luce che si spegne può diventare un incubo.

Di Nicola Sellitti

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