Non ignorare la scienza per evitare un doping genetico
L’accesso alle competizioni femminili da parte di persone nate uomini è altamente discriminatorio nei confronti delle donne. Per non consentire di fatto un doping “genetico”, basterebbe non ignorare la scienza.
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Non ignorare la scienza per evitare un doping genetico
L’accesso alle competizioni femminili da parte di persone nate uomini è altamente discriminatorio nei confronti delle donne. Per non consentire di fatto un doping “genetico”, basterebbe non ignorare la scienza.
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Non ignorare la scienza per evitare un doping genetico
L’accesso alle competizioni femminili da parte di persone nate uomini è altamente discriminatorio nei confronti delle donne. Per non consentire di fatto un doping “genetico”, basterebbe non ignorare la scienza.
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L’accesso alle competizioni femminili da parte di persone nate uomini è altamente discriminatorio nei confronti delle donne. Per non consentire di fatto un doping “genetico”, basterebbe non ignorare la scienza.
Da ex sportivo e da professionista del settore ritengo altamente scorretto e discriminatorio nei confronti delle donne, biologicamente nate in quanto tali, l’accesso alle competizioni femminili da parte di persone nate uomini. Proprio per questo ho molto apprezzato l’intervento di Luca Ricolfi apparso lunedì su queste stesse pagine.
La struttura corporea, muscolo-scheletrica e tendineo-legamentosa di un uomo è e resta superiore in maniera evidente anche dopo ripetuti trattamenti con cicli ormonali: alcuni adattamenti cellulari – come la predisposizione all’aumento dei mionuclei (cioè i nuclei cellulari dei miociti) e la tendenza all’iperplasia muscolare – restano permanenti in quanto geneticamente immodificabili e consentono un riguadagno immediato di tono e forza muscolare anche a seguito di ripetuti cicli ormonali, innalzando e di molto il massimo potenziale rispetto a un’atleta nata donna. Restano permanenti anche una maggiore attivazione delle cellule satellite e il numero complessivo dei recettori androgeni.
Un numero maggiore di mionuclei avvantaggia la sintesi proteica in un atleta nato uomo anche se successivamente si sottopone a cure ormonali. Le cellule satellite che circondano i miociti – il cui numero è poco dipendente dalla quantità di testosterone presente nell’organismo, restando invece strettamente legato all’allenamento e alla genetica dell’atleta – migliorano considerevolmente il recupero muscolare.
I recettori androgeni sono invece in grado di interagire con gli ormoni maschili come appunto testosterone e Dht. Un uomo, seppur trattato con ormoni femminili e dunque con livelli ridotti di testosterone, mantiene comunque alto il numero dei recettori di cui è dotato geneticamente. Tutto ciò comporta una sua migliore predisposizione alla crescita.
Quella che viene comunemente definita memoria muscolare persiste anche a seguito di trattamento ormonale e, così come quella, anche gli apparati scheletrico e tendineo-legamentoso sono in grado di sostenere sollecitazioni incredibilmente maggiori rispetto a quelli di una donna nata in quanto tale.
Ecco perché resta decisamente più corretto accreditare uno sportivo a una categoria di competizione in base alle informazioni genetiche che ne determinano il genere e non in base alla sua volontà di sentirsi uomo piuttosto che donna. Altrimenti rischieremmo di vanificare tutto quanto è stato fatto finora nella lotta al doping, consentendone di fatto uno “genetico”.
Dare per legge la possibilità di autodeterminare il proprio genere implicherebbe la possibilità per un uomo che “si sente” donna di accedere alle quote rosa, alle carceri femminili e a competizioni sportive che lo vedrebbero inevitabilmente favorito. La pia illusione di avvantaggiare una categoria finirebbe insomma per danneggiare irreparabilmente un genere intero.
Di Giorgio Provinciali
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