La bellezza delle lacrime
Il calcio è anche uno dei pochissimi ambiti in cui l’uomo – inteso come maschio – si libera di alcune ridicole sovrastrutture culturali
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Il calcio è anche uno dei pochissimi ambiti in cui l’uomo – inteso come maschio – si libera di alcune ridicole sovrastrutture culturali
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Il calcio è anche uno dei pochissimi ambiti in cui l’uomo – inteso come maschio – si libera di alcune ridicole sovrastrutture culturali
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Il calcio è anche uno dei pochissimi ambiti in cui l’uomo – inteso come maschio – si libera di alcune ridicole sovrastrutture culturali
Con tutti i suoi limiti, difetti e mancanze, il calcio è anche uno dei pochissimi ambiti in cui l’uomo – inteso come maschio – si libera di alcune ridicole sovrastrutture culturali e sociali radicate nel tempo. Su un campo da calcio, a differenza di quasi ogni altro momento e luogo, i giocatori piangono senza alcun ritegno e vergogna quando perdono una finale. Quando lo scudetto se ne va all’ultimo respiro, quando un trionfo sfuma beffardo.
Questi moderni gladiatori, più che mai trasformatisi in superstar di stampo hollywoodiano, spesso ricoperti da capo a piedi di tatuaggi, si lasciano andare senza la minima remora o vergogna a pianti dirotti da condividere con i propri tifosi, a loro volta in lacrime sugli spalti.
È successo ieri sera a Budapest ai giocatori della Roma, al termine della sfortunata maratona della finale di Europa League contro il Siviglia (un giorno qualcuno ci spiegherà come sia possibile che una squadra vinca con questa stupefacente regolarità una determinata coppa), è successo sabato a Dortmund ai giocatori, all’allenatore e supporters del Borussia che ha visto scivolare fra le dita la Bundesliga. In casa e all’ultimo respiro.
Grazie al cielo, oggi nell’educazione del maschio è cambiato quasi tutto, nessuno si sognerebbe più di urlare a un bambino: “non piangere come una femminuccia“. I modelli sono radicalmente cambiati ed evoluti e la stragrande maggioranza dei genitori è attentissima nell’allevare i figli e le figlie senza alimentare stereotipi e bias destinati a pesare per tutta la vita.
Nonostante questo, ci vorrà ancora molto tempo prima che la metà del cielo tirata su per secoli con l’idea di “non dover chiedere mai“ – come recitava una famosa pubblicità di un’era che sembra sepolta – faccia pace con le proprie emozioni e le proprie lacrime.
Negli stadi, no. Su un prato, al termine di una partita andata male, il maschio si concede di essere se stesso fino in fondo ed è uno spettacolo potente e coinvolgente. Perché il calcio, con tutto il suo professionismo esasperato, le carnevalate insopportabili e l’atteggiarsi a dimensione parallela, resta pur sempre il gioco dei bambini. Fate rotolare una palla fra i piedi di un gruppo di austeri signori incravattati e vedrete l’effetto che fa.
Noi diciamo grazie al calcio anche per questo, per queste lacrime sincere, per questi maschi finalmente uomini.
di Fulvio Giuliani
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