Calcio, Sinner cercasi
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Quanto c’è di genuinamente italiano in termini di talento in campo? Non pretendiamo un Sinner, ma almeno qualcuno che ci assomigli alla lontana

Calcio, Sinner cercasi
Quanto c’è di genuinamente italiano in termini di talento in campo? Non pretendiamo un Sinner, ma almeno qualcuno che ci assomigli alla lontana
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Quanto c’è di genuinamente italiano in termini di talento in campo? Non pretendiamo un Sinner, ma almeno qualcuno che ci assomigli alla lontana
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AUTORE: Fulvio Giuliani
Martedì sera il contrasto fra le inquadrature a Jannik Sinner sugli spalti dello stadio Giuseppe Meazza di Milano e la prestazione offerta dal Milan in campo non poteva essere più stridente. Intendiamoci, i problemi dei rossoneri sono di vecchia data e in questo caso non ci interessa una riflessione su questa o quella squadra. Vogliamo provare a ragionare sul calcio italiano nel suo complesso, sul momento di quella vera e propria emozione collettiva rappresentata dal pallone. È proprio la neo-superstar Sinner ad aiutarci, facendo ciò che serve più di ogni altra cosa nello sport: porre l’asticella molto in alto, imporre traguardi difficili. Ecco, rispetto all’esplosione del nostro tennis e in particolar modo di questo talento oggettivamente fuor dal comune, il pallone appare sgonfio. Per carità, siamo reduci da una stagione con una finalista di Champions League, due semifinaliste ed un’altra squadra nei quarti di finale. Più altre due finaliste nelle Coppe europee. Tantissimo, considerati le previsioni e il livello medio del nostro campionato.
Di cosa stiamo parlando, però? Quanto c’è di genuinamente italiano in termini di talento in campo? Non pretendiamo un Sinner, ma almeno qualcuno che ci assomigli alla lontana. Siamo stati bravissimi, insomma, da un punto di vista strettamente manageriale. Abbiamo costruito con disponibilità tutto sommato mediocri squadre in grado di giocarsela fino in fondo, anche grazie ad una scuola – quella sì – con pochissimi eguali al mondo: l’accademia dei nostri allenatori. Quattro delle cinque squadre indicate in precedenza erano allenate da tecnici italiani, praticamente nessuna era guidata in campo da un’ossatura nostrana. Nulla di sciovinistico, solo un’analisi ‘severa, ma crediamo giusta’. I Sinner nascono una volta ogni 30 o 40 anni. Come i Tomba, le Pellegrini o i Roberto Baggio. Totti, Del Piero e lo stesso Baggio insieme sono oggettivamente una congiunzione astrale, ma prendete il roster della Nazionale nel Mondiale del 2002 (ne scegliamo uno ampiamente sfortunato e dal risultato mediocre) e paragonatelo con quello attuale. Non è una questione di fuoriclasse, è un mondo che è andato indietro.
Quegli stessi allenatori che abbiamo lodato fanno una fatica enorme a trovare spazio a giovani talenti italiani. O non ritengono di averne di bravi o è difficile convincere le società a puntare sui giovani. Accettando il rischio di una sconfitta in più, di una bordata di fischi, del tifoso che vorrebbe comprare Bellingham, Mbappé, Osimhen e Maignan tutti insieme.
Fra le conseguenze, i più giovani – da sempre attratti dai “prodotti“ più cool – considerano la nostra Serie A roba vecchia. Superata, polverosa. Perché il sentore della mancanza di coraggio arriva alle narici di tutti. Non limitiamoci a elogiare Sinner e il tennis italiano emersi da un buco nero lungo decenni, studiamoli.
Di Fulvio Giuliani
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