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Cosa ricorda Ducati all’Italia

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Nel mondo tutto ricerca e sviluppo delle due e delle quattro ruote l’Italia potrà avere un ruolo se farà come Ducati

Ducati

Cosa ricorda Ducati all’Italia

Nel mondo tutto ricerca e sviluppo delle due e delle quattro ruote l’Italia potrà avere un ruolo se farà come Ducati

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Cosa ricorda Ducati all’Italia

Nel mondo tutto ricerca e sviluppo delle due e delle quattro ruote l’Italia potrà avere un ruolo se farà come Ducati

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Prima ancora che ci sia fatto notare: sappiamo perfettamente che Ducati da anni non è più di proprietà italiana, ma di Audi e dunque del gruppo Volkswagen. Una proprietà tedesca molto intelligente e illuminata, peraltro. Innanzitutto per la consapevolezza che il meccanismo non andasse toccato, semmai potenziato nelle sue linee guida e nelle sue specificità.

Proprietà tedesca e migliore possibile, nel momento in cui preserva e permette di sviluppare l’assoluta italianità del cervello ingegneristico e operativo del marchio. Il che, in definitiva, conta molto di più del passaporto del gruppo proprietario.

Fatta la premessa, diamo un’occhiata a quanto accaduto quest’anno in MotoGP: Ducati ha vinto tutte le gare, tranne una. Geniale – e ripresa da un’idea Porsche dopo una storica Le Mans del 1983 – la pubblicità comparsa ieri sui giornali: “Nessuno è perfetto”, con l’elenco dei Gp, dei relativi vincitori e l’unica, “luminosa” eccezione di un successo Aprilia. Moto italiana anch’essa, tra l’altro. Per il resto, tutto rosso Ducati.

Qualche buontempone considererà questo un anno lontano dalla perfezione, perché in definitiva il titolo piloti è andato a Jorge Martin, capace di avere la meglio sul due volte campione del mondo e pilota ufficiale Ducati Pecco Bagnaia. Chi dovesse ragionare in questo modo non riconoscerebbe gli enormi meriti del team Pramac, primo nella storia dell’era MotoGP a vincere il titolo soffiandolo alle case ufficiali. Poi, non verrebbero riconosciuti i giusti meriti a un pilota forse non della qualità di Bagnaia ma quest’anno più regolare e capace di fare tanti punti nelle gare sprint del sabato (le detestiamo, ma sono lì e valgono per il Mondiale) e di fare meno errori. Infine, si dimenticherebbe la serietà della stessa Ducati, che ha fornito al team “satellite” e avversario una moto semplicemente straordinaria.

Davanti a tutto questo – al termine di un trionfo da far venire l’orticaria ai costruttori giapponesi – ci chiediamo quando torneremo a prendere atto di una fondamentale verità: nel mondo tutto ricerca e sviluppo delle due e delle quattro ruote (oggi più che mai!), l’Italia potrà avere un ruolo e un futuro se saprà fare ricerca – appunto – e innovazione continua. Come la Ducati. Come insegna la Ducati.

Lo sappiamo bene: il Motorsport non è l’industria dell’auto, qui siamo all’eccellenza esasperata in ogni dettaglio ma il concetto di fondo resta. Ci sembra inaccettabile che l’Italia possa rinunciare al suo ruolo nell’automotive mondiale, trincerandosi dietro la transizione all’ibrido e all’elettrico, le gigafactory che non ci sono, i cinesi e il destino cinico e baro.
Tocca lavorare, mettere i migliori cervelli all’opera e levarsi di torno gli incapaci.

Perché c’è stata un’era in cui la Ducati era considerata la regina della Serie B, con il suo dominio Superbike e qualcuno rideva di Borgo Panigale, quando sbarcò in MotoGP. Pensate.

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