Scrivere di Bebe Vio è sempre un esercizio meraviglioso e complesso al contempo. Splendido per le sensazioni che questa incredibile atleta riesce a far provare, difficile per il pudore – lo confesso – davanti a una storia così grande e intima.
È il timore di scrivere o dire, come ricordato anche nel video dei 60seconds di ieri, cose scontate.
Con le migliori intenzioni, per carità, determinate da un’ammirazione sconfinata, ma anche intrise di una retorica che risulterebbe insopportabile a una donna che ha fatto della capacità di accettare e combattere la sua ragione di vita. Ieri, dopo il secondo trionfo olimpico, aver sentito dalla sua viva voce il racconto di mesi terribili, in cui le è stata prospettata anche la fine di ogni speranza, mi ha paradossalmente liberato di questo timore.
Cosa ci può mai essere di retorico, nel sostenere che Bebe Vio è una clamorosa lezione quotidiana per noi tutti? Esultare per i suoi trionfi, sottolinearne la pazzesca forza mentale è condizione essenziale, ma certo non sufficiente a descrivere un personaggio che impone di ragionare su cosa siano la fortuna e il merito.
Non è disonorevole lamentarsi dei propri problemi, ma è anche istruttivo e opportuno apprendere la lezione di Bebe. Davanti allo specchio al mattino, guardando crescere i nostri figli, dovremmo ricordarci ogni giorno di chi è costretto – parliamo di una moltitudine e per i motivi più diversi – a faticare quattro, otto, dieci volte più degli altri. Per ottenere, magari, ciò che appare molto meno ai nostri occhi.
Nel disneyano “se sembra impossibile, allora puoi farlo” di Bebe Vio, non c’è solo un urlo di ribellione alla malattia, c’è una filosofia. Una scelta.
Sempre avanti, sempre oltre i limiti evidenti e quelli invisibili, non di rado più subdoli e dolorosi.
I due ori olimpici consecutivi sono un risultato storico, ma nella sua vicenda umana rappresentano non un fine, ma un passaggio. Perché abbiamo l’assoluta certezza che Bebe Vio continuerà a impartirci dolci lezioni su cosa sia la vita e come vada affrontata.
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