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Fefè De Giorgi: una specie di Mister Wolf

Fefè è un Mister Calmo. O meglio una specie di Mister Wolf, uno che risolve problemi con il sorriso
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Fefè De Giorgi: una specie di Mister Wolf

Fefè è un Mister Calmo. O meglio una specie di Mister Wolf, uno che risolve problemi con il sorriso
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Fefè De Giorgi: una specie di Mister Wolf

Fefè è un Mister Calmo. O meglio una specie di Mister Wolf, uno che risolve problemi con il sorriso
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Fefè è un Mister Calmo. O meglio una specie di Mister Wolf, uno che risolve problemi con il sorriso
Il problema della nazionale italiana di pallavolo era accettare l’idea di qualche anno di transizione dopo la deludente era Blengini, lanciando i giovani che a stento trovavano posto nella Superliga. Una specie di ponte tra i vari Michieletto, Favia con Zaytsev, Juantorena, gli ultimi assi del sestetto azzurro che è uscito ai quarti di finale dei Giochi olimpici di Tokyo. Non scontato, per un movimento che ora conta 57 medaglie complessive dal 1989.  Accettare dunque il peso della ricostruzione. D’altronde l’hanno fatto negli anni altri movimenti d’oro, come Cuba, oppure l’Olanda che vinse l’oro ai Giochi di Barcellona 1992, in finale sugli azzurri. De Giorgi invece ha fatto la rivoluzione, ha ridotto i tempi, lanciato i giovani. Lo scorso anno, nell’incredibile estate azzurra, sono arrivati gli Europei, che mancavano dalla vetrinetta dei trofei da 16 anni. Ora i Mondiali, una medaglia mancava da 24 anni, un’eternità nelle consuetudini della pallavolo italiana. Ne aveva vinti tre da giocatore.  Prima la Francia, poi la Slovenia, infine la Polonia: ha vinto con una rosa dall’età media di 24 anni, ha battuto i polacchi due volte campioni del mondo a casa loro, davanti a 12 mila spettatori.  Non è un miracolo, perché i nuovi eroi oltre a essere irriverenti e sfrontati, sono forti, assai forti. Motivati, come da lui ribadito in quasi tutte le interviste successive al trionfo, a indossare la maglia azzurra. Serviva solo il coraggio e la competenza nel lanciarli, accudirli, proteggerli. Come lui, pochissimi nella storia dello sport italiano, che specie negli sport di squadra è sempre stato un po’ pigro a concedere la ribalta ai giovani, che per la finale dei Mondiali con la Polonia hanno attirato quasi quattro milioni di telespettatori su Rai 1. Anche questo è un successo con pochi precedenti. Come premio si è ritrovato al Quirinale, con Sergio Mattarella, piuttosto che tornare a casa, a Squinzano, in Salento.   Fefè ha vinto attraverso scelte, anche non facili. Mai senza quel sorriso bonario che lo ha accompagnato anche in Russia, dieci anni fa, a fare la gavetta, quando non c’era un posto in panchina nella Serie A1 del campionato italiano. Poco spazio per uno di quelli della generazione dorata con Julio Velasco in panchina, ovvero il fuoriclasse che ha girato la chiave del volley tricolore, 30 anni fa. Era la riserva di Paolo Tofoli e Fabio Vullo.  Ci è voluto coraggio a comunicare a un asso e icona dell’Italvolley come Ivan Zaytsev che la sua corsa ai Mondiali era finita. A casa, spazio per Yuri Romanò e Giulio Pinali, che nella passata stagione hanno osservato le partite di Superliga dalla panchina nei rispettivi club. Scelte arrivate dopo l’eliminazione dalla Francia in semifinale di Nations League. Una sconfitta netta, meritata, una di quelle che lasciano il segno.   Il coraggio non gli è mai mancato. Dopo la Russia, l’esperienza chiave c’è stata in Polonia, dove ha vinto con l’Italia, tre anni allo Zaksa, in un paese dalla lunga tradizione e con seguito altissimo, sono arrivati i campionati nazionali, coppe, la Champions League. Ventidue anni fa è stato il primo in Italia a fare l’allenatore-giocatore, a Cuneo.  Ora, ovviamente lo sguardo è altrove. Dalla Polonia alla Francia, ai Giochi olimpici di Parigi, tra due anni. Quell’oro manca, manca tantissimo, non ci è riuscito Velasco, neppure Bebeto e neppure altri assi che si sono seduti su quella panchina, non lo hanno vinto mostri sacri come Bernardi, Giani. Neppure Fefè l’ha vinto, da giocatore, anzi non ha mai giocato alle Olimpiadi, in due occasioni Velasco non l’ha convocato. Da allenatore, chissà.   Di Nicola Sellitti

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