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Gli ori sportivi e i cerimoniali

Tra le immagini che scorrevano durante la cerimonia di Parigi 2024 non è mancata quella di Jesse Owens, ma mancava l’esempio luminoso di spirito olimpico: Luz Long

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Gli ori sportivi e i cerimoniali

Tra le immagini che scorrevano durante la cerimonia di Parigi 2024 non è mancata quella di Jesse Owens, ma mancava l’esempio luminoso di spirito olimpico: Luz Long

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Gli ori sportivi e i cerimoniali

Tra le immagini che scorrevano durante la cerimonia di Parigi 2024 non è mancata quella di Jesse Owens, ma mancava l’esempio luminoso di spirito olimpico: Luz Long

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Tra le immagini che scorrevano durante la cerimonia di Parigi 2024 non è mancata quella di Jesse Owens, ma mancava l’esempio luminoso di spirito olimpico: Luz Long

Nella sarabanda televisiva dei Giochi olimpici conta parecchio la visibilità degli sport minori e delle discipline nuove e di tendenza. Per non parlare della cerimonia di apertura, in cui le Olimpiadi danno lustro non tanto allo spirito sportivo quanto al Paese che le ospita. Anche se forse sarebbe più giusto dire che danno lustro all’immagine del Paese che il governo vuole imporre. La cerimonia di Parigi 2024 ha segnato un culmine che sarà (speriamo) difficilmente superato. Il mix tra presa diretta e filmati intendeva far perdere il senso della realtà e ci è riuscito in pieno: gli atleti, racconto vivente delle Olimpiadi, sono stati trasformati in turisti di passaggio sui bateaux mouches. Il tedoforo – invenzione hitleriana per creare continuità tra classicità e Terzo Reich (e quindi da trattare con una certa circospezione) – nelle intenzioni del regista francese voleva forse richiamare l’arguzia di Arsenio Lupin nell’impossessarsi della torcia, ma il costumista deve aver capito che si trattava di Darth Vader con la spada laser in un sequel di “Guerre Stellari” ambientato alle Olimpiadi, mentre il coreografo deve aver avuto per le mani lo stuntman specialista di salti sui tetti di Parigi per sfuggire all’antiterrorismo. Poi, inopinatamente, un inquietante cavaliere si è prodotto in una galoppata sulle acque e sotto i ponti della Senna in groppa a un macabro robot equino uscito dal celebre “Trionfo della Morte” di Palazzo Abatellis a Palermo.

Tra le immagini che scorrevano in irrefrenabile disordine non è mancata quella di Jesse Owens, l’afroamericano che il 3 agosto 1936 vinse l’oro nei 100, il giorno successivo l’oro nel salto in lungo, poi l’indomani quello dei 200 e infine il 9 agosto l’oro della staffetta 4×100, facendo venire la bile ai razzisti americani. La storia che Hitler gli abbia rifiutato la mano è sicuramente una fake news, secondo la testimonianza dello stesso Owens. È invece certo che il presidente americano Franklin Delano Roosevelt – alle prese con le elezioni presidenziali del 1936 e con il malcontento degli Stati del Sud – non invitò alla Casa Bianca i 18 atleti afroamericani di ritorno dai Giochi di Berlino, così poté stringere la mano solo ai bianchi. Owens non gliela perdonò e sostenne il candidato avverso, Alf Landon.

Nel pot-pourri parigino mancava Luz Long (1913-1943), esempio luminoso di spirito olimpico. Specialista tedesco nel salto in lungo e nel salto triplo, fu battuto dal suo amico Owens nel lungo, accontentandosi della medaglia d’argento. Lo definiamo amico perché fu il primo a congratularsi con Owens; ma soprattutto perché lo stesso Owens, impegnato contemporaneamente nelle qualificazioni del salto e dei 200 metri, rimediò due ‘nulli’ e Luz gli suggerì di staccare 30 cm più indietro, ponendo il suo asciugamani sul lato della pedana come segnale. Owens seguì il consiglio, si qualificò e vinse. Luz fu mandato a combattere in Sicilia in seguito allo sbarco alleato del 1943, dove morì a trent’anni.

Di Miléno Vezènt 

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