I grandi dello sport: Magic
Prima ancora di Michael Jordan, fu Magic Johnson a trainare l’Nba fuori dagli Usa con uno sport carismatico e passionale. Oggi come all’ora
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Prima ancora di Michael Jordan, fu Magic Johnson a trainare l’Nba fuori dagli Usa con uno sport carismatico e passionale. Oggi come all’ora
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Prima ancora di Michael Jordan, fu Magic Johnson a trainare l’Nba fuori dagli Usa con uno sport carismatico e passionale. Oggi come all’ora
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Prima ancora di Michael Jordan, fu Magic Johnson a trainare l’Nba fuori dagli Usa con uno sport carismatico e passionale. Oggi come all’ora
Chiedi chi era Magic.
Prima che Michael Jordan diventasse il primo fenomeno globale del basket, fu lui a trainare l’Nba fuori dagli Usa, a farne oggetto di passione per noi ragazzi europei degli anni Ottanta. Di Magic avevo il poster in cameretta insieme a quello di Diego Armando Maradona e per uno come me e della mia generazione napoletana non è necessario aggiungere altro..,
Magic era lo sport inteso come gioia, bellezza, modernità, carisma. Dopo di lui – durante lui – tutto cambiò e il basket cominciò la sua era d’oro. Earvin Johnson, detto ‘Magic’ da quando aveva 14 anni o giù di lì, è il suo sorriso. Contagioso, totale, vero. Non amato da tutti, per carità. Anzi. Per quanti, ancora oggi, quel sorriso era falso, ipocrita e insopportabile. Quanti critici e invidiosi, incapaci di cogliere la ‘rivoluzione’ di chi giocava e vinceva godendosela fino in fondo. Senza sconti, senza riserve.
Quale insegnamento per il professionismo fine a se stesso, che diluisce nella routine e nell’indifferenza la passione. Magic è passione, oggi come allora. Imprenditore di successo travolgente, capace di vedere business dove altri manco se li sognano. Come in campo, quando inventava passaggi assurdi e imprevedibili. Perché uno così ha sempre guardato molto oltre, dietro l’avversario e la prossima curva. Magico.
Nel basket esiste una dote fondamentale: la visione periferica, la capacità di prestare attenzione a ciò che viene colto dalla coda dell’occhio, il gioco dove lo sguardo è meno a fuoco: in questo, Earvin Johnson da Lansing, Michigan, resta semplicemente insuperato. Forse insuperabile.
Nonostante tutto ciò, non vide arrivare l’incubo dell’Aids e fu shock totale. Era una condanna a morte all’epoca. Magic è ancora qui, 32 anni dopo quel lugubre 7 novembre del 1991. Pochi mesi dopo, fu corpo e anima della più grande squadra di basket mai vista e pensata, il Dream Team Usa alle Olimpiadi di Barcellona 1992: già quello apparve miracoloso, figuratevi il resto.
Hanno scritto libri e libri su di lui e la serie Tv ‘Winning Time’ è un piccolo capolavoro sugli anni Ottanta e lo Showtine dei Los Angeles Lakers, ma nulla restituisce Magic alla realtà come un poster ingiallito di quarant’anni fa di un suo passaggio no look al Forum di Inglewood, LA. Poesia in movimento, definizione del basket che sembra creata apposta per lui.
Non ce ne voglia MJ, ma senza Magic non ci sarebbe l’Nba come la conosciamo oggi, non avremmo imparato – noi di quell’epoca – che si può essere interpreti sopraffini delle proprie passioni senza perdere mai la gioia.
di Fulvio Giuliani
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