Il calcio che non c’è più
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Carlo Mazzone, Carletto per chiunque l’abbia anche solo sentito nominare (ed è un gran peccato), era un uomo d’un pezzo e altri tempi
Il calcio che non c’è più
Carlo Mazzone, Carletto per chiunque l’abbia anche solo sentito nominare (ed è un gran peccato), era un uomo d’un pezzo e altri tempi
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Il calcio che non c’è più
Carlo Mazzone, Carletto per chiunque l’abbia anche solo sentito nominare (ed è un gran peccato), era un uomo d’un pezzo e altri tempi
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Se n’è andato a poche ore dall’inizio del nuovo campionato di Serie A. Lui che ha allenato più di chiunque altro nel nostro massimo campionato. 792 volte.
Lui che non era assolutamente quella folle corsa sotto la curva dell’Atalanta in un lontano derby con il Brescia, ma che in quella umanissima, meravigliosa, epica e sgangherata ricorsa a base di “mortacci“ (a cui ho avuto l’immensa fortuna di assistere dal vivo) ci ha ricordato per sempre cosa significhi amare il proprio lavoro, coltivare la propria passione e avere il rispetto sacro e intangibile delle proprie origini.
Carlo Mazzone, Carletto per chiunque l’abbia anche solo sentito nominare (ed è un gran peccato), era un uomo d’un pezzo e altri tempi. Due immagini in tante altre occasioni assolutamente abusate, ma che sembrano scritte per meravigliosi personaggi come lui. Per lui. Che ci abbia salutato nel giorno in cui partiva una Serie A ripiegata su se stessa, vagamente depressa dal non poter spendere soldi – sempre e solo soldi! – è come un ultimo regalo di un uomo reso grande della sua semplicità.
Un monito, l’ennesimo, sui valori che dovrebbero muovere chi fa dello sport la propria ragione di vita. Il che non significa rinunciare ai denari o ai migliori contratti, ma saper mantenere sempre il corretto ordine delle cose, un fermo ancoraggio alla realtà.
Se è vero che nulla ci definisce come il ricordo che lasciamo negli altri, Carlo Mazzone deve essere stato un uomo profondamente felice. La sua traccia resterà indelebile in alcuni dei più grandi personaggi di un mondo che continuiamo ostinatamente ad amare: Francesco Totti, Roberto Baggio, Pep Guardiola, Andrea Pirlo, solo per limitarci ai grandissimi. Nomi che hanno fatto la storia del nostro sport nazionale in Italia e all’estero.
Credete sul serio che l’amore assoluto, viscerale di Francesco Totti per una sola maglia nella sua vita – non solo da calciatore – sia un caso? Che aver avuto come maestro Carletto Mazzone non abbia influito profondamente nell’idea di calcio e di sé di uno dei più straordinari talenti mai prodotti dal nostro Paese? Che poche ore prima della sua scomparsa, Pep Guardiola, il più grande allenatore degli ultimi 15 anni – Mourinho ci perdonerà – abbia chiarito che sarebbe tornato in Italia solo per andare ad allenare il Brescia e gratis, può essere un’altra casualità?! O che si sia presentato al dopo partita del suo City con la maglia del vecchio mister?
Sono i frutti di un lavoro e di un’umanità difficilmente imitabili, di mondi che stanno svanendo sotto i nostri occhi. Spesso anche nella nostra colpevole indifferenza. Chiedete a dei ragazzi sotto i 18 anni se hanno mai sentito parlare di Carletto Mazzone, molti vi guarderanno con lo sguardo perso, ma non è (solo) colpa loro. Distratto da chissà quali grandi impegni, abbiamo smesso di raccontare storie, di narrare dei grandi personaggi con cui siamo cresciuti e delle vicende umane che ci hanno accompagnato a essere ciò che siamo.
di Fulvio Giuliani
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