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Lo sguardo di un fotografo non vedente alle Paralimpiadi

João Batista Maia da Silva, il fotografo non vedente giunto alla sua terza Paralimpiade: un memento per l’umanità

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Lo sguardo di un fotografo non vedente alle Paralimpiadi

João Batista Maia da Silva, il fotografo non vedente giunto alla sua terza Paralimpiade: un memento per l’umanità

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Lo sguardo di un fotografo non vedente alle Paralimpiadi

João Batista Maia da Silva, il fotografo non vedente giunto alla sua terza Paralimpiade: un memento per l’umanità

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João Batista Maia da Silva, il fotografo non vedente giunto alla sua terza Paralimpiade: un memento per l’umanità

Anche questa volta le Paralimpiadi appena concluse sono state un memento per l’umanità, per non dimenticare che ognuno di noi può superare i propri limiti mettendo in campo le proprie doti e virtù. Per dodici giorni gli obiettivi di tutto il mondo sono stati puntati su atleti che si sono sfidati nelle discipline più disparate. Fra loro anche il brasiliano João Batista Maia da Silva, 49 anni, fotografo non vedente giunto alla sua terza Paralimpiade.

Sul suo profilo Instagram (@fotografiacega_, in portoghese vuol dire fotografia cieca), racconta l’evento con una serie di scatti. E in un post cristallizza e celebra la sua emozione con queste parole: «Essere alle Paralimpiadi di Parigi 2024 è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Ogni fotografia che ho scattato, ogni sguardo che ho incontrato e ogni vittoria a cui ho assistito ha generato in me una sensazione indescrivibile. È stato molto più che essere lì, è stato vivere e sentire l’essenza di ogni atleta, il trionfo, la grinta e le storie di vita dietro ogni movimento. (…) Voglio ringraziare tutte le persone che mi stanno seguendo, incoraggiando e sostenendo, persone che credono nel progetto della fotografia cieca».

Maia da Silva ha perso gran parte della sua capacità visiva a 20 anni dopo aver contratto un’uveite, un’infiammazione dell’uvea (lo strato vascolare fra la sclera e la retina) che può appunto portare alla cecità. Dopo la malattia ha sviluppato maggiormente gli altri sensi, in special modo l’udito. E sono proprio le orecchie a guidarlo nei suoi scatti: per decidere quando e in quale direzione fotografare, Maia da Silva presta la massima attenzione a ogni suono che percepisce attorno a lui. Nello sport ogni rumore conta e racconta un’emozione: un gemito, un urlo, un respiro particolarmente affannoso, ogni suono ha un suo significato ed ecco che il fotografo brasiliano, come spiega lui stesso, trasforma i suoni in immagini. A Parigi si è avvalso dell’aiuto di un assistente che gli ha descritto la scena, i colori, le trame, gli angoli e le espressioni. Tutti elementi che lo hanno aiutato ad amplificare il più possibile le proprie capacità percettive.

«Il nostro corpo dà segnali inequivocabili, per esempio quando ci emozioniamo il cuore accelera, batte più forte. (…) La fotografia cieca è un modo come un altro per sperimentare e rendere tangibili le nostre capacità percettive latenti» ha detto Maia da Silva. Per credere a ogni sua parola ci basta ammirare i suoi scatti incredibilmente vividi. Si potrebbe affermare che il suo talento per la fotografia sia la diretta conseguenza di un talento innato per i sentimenti.

Maia da Silva non può vedere, ma riesce a cogliere ogni situazione grazie al suo udito e alle sue sensazioni. Lascia davvero meravigliati osservare l’accuratezza delle sue fotografie, fotografie che stupiscono specialmente per l’attenzione ai particolari e per l’abilità compositiva: «La mia fotografia si basa più sui miei sentimenti, sulle mie sensazioni e sulle mie emozioni. Senza tenere conto della vista» racconta il fotografo sotto uno dei suoi post. «Uso le mie percezioni per trasformare i suoni in immagini e tutto è possibile perché faccio parte di una squadra meravigliosa».

Un dettaglio molto peculiare che ci rende manifesta la sensibilità di Maia da Silva è che sotto ogni suo post viene inserita una didascalia dettagliata dell’immagine con descrizioni accurate che raccontano la fotografia in ogni suo particolare, spaziando dai colori alla luce, dall’angolazione dello scatto alla profondità a cui sono posizionate le figure e gli oggetti presenti nella foto. In questo modo rende l’immagine fruibile anche per chi, come lui, non può osservarla ma soltanto ‘ascoltarla’.

di Angelo Annese

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