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Il pallone è quel che siamo

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In un’epoca cinica come l’attuale i soldi son tanto. Ma nel calcio non saranno mai un’identità e soprattutto non saranno mai tutto

Il pallone è quel che siamo

In un’epoca cinica come l’attuale i soldi son tanto. Ma nel calcio non saranno mai un’identità e soprattutto non saranno mai tutto

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Il pallone è quel che siamo

In un’epoca cinica come l’attuale i soldi son tanto. Ma nel calcio non saranno mai un’identità e soprattutto non saranno mai tutto

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Parliamo di pallone. Ma poiché farlo è esercizio di cultura e non solo di sport, cominciamo da una definizione della Treccani: «Tifoso: chi sostiene appassionatamente una squadra». In quell’«appassionatamente» si trova il senso di ciò che il calcio non è più da tempo: una manifestazione d’identità. La miccia di questa riflessione, restando alle cronache attuali, s’annida in un nome e in un cognome: Daniele De Rossi, ex calciatore della Roma e adesso anche ex allenatore della squadra della Capitale, dopo che – dalla proprietà – gli hanno dato il benservito. In un’epoca cinica come l’attuale i soldi son tanto. Ma non saranno mai un’identità e soprattutto non saranno mai tutto. Non è questione di romanticismo ma di ontologia: il calcio non è nato per far business ma per un agonismo sportivo che si porta sulle spalle l’esser differenti.

La Juventus non è la Fiorentina, la Roma non è la Lazio, l’Inter non è il Milan. Se il metro di sfida cambia e diviene un bancomat, addio pallone. Diego Maradona non sarebbe la “Mano de Dios” che fotte gli inglesi a un Mondiale (in tempi in cui l’Argentina non aveva ancora digerito lo smacco delle Falkland). Uscendo dalle Nazionali e andando ai club: Rivera non sarebbe il Milan, Antognoni non sarebbe la Fiorentina, Totti non sarebbe la Roma, seppur in un’epoca in cui le bandiere stavan già tramontando. Concludendo: la pelota senza identità non esiste. Resta soltanto un gioco idiota o un affare per ricchi. Magari in Arabia.

Di Jean Valjean

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