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Il vizio ingrediente del genio

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Si fa spesso uso della coppia genio-sregolatezza: il suo vizio lo conosciamo tutti. Evitiamo di fare di Maradona un santino, non lo è stato. E se lo fosse stato, non sarebbe diventato Maradona.

Il vizio ingrediente del genio

Si fa spesso uso della coppia genio-sregolatezza: il suo vizio lo conosciamo tutti. Evitiamo di fare di Maradona un santino, non lo è stato. E se lo fosse stato, non sarebbe diventato Maradona.
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Il vizio ingrediente del genio

Si fa spesso uso della coppia genio-sregolatezza: il suo vizio lo conosciamo tutti. Evitiamo di fare di Maradona un santino, non lo è stato. E se lo fosse stato, non sarebbe diventato Maradona.
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«Il vizio è tanto necessario in uno Stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa». Bernard de Mandeville, filosofo olandese, nella sua “Favola delle api” vince ogni conformismo spingendosi a parlare di vizi privati e pubbliche virtù. Il ragionamento di Mandeville era focalizzato sugli Stati ma siamo convinti che valga, a maggior ragione, per gli uomini di genio e di talento. Come Diego Armando Maradona. Quante volte nelle chiacchiere da Bar Sport abbiamo sentito dire: «Pensate che campione sarebbe stato se non avesse pippato cocaina!». Come se un uomo (o una donna) si potesse scindere dai suoi demoni lasciando intatto ciò che è o è stato. Se togli i demoni tutto cambia perché spesso, con loro, se ne vanno pure gli angeli. In questi giorni, nel ricordare il primo anniversario della morte di Diego Armando Maradona, è tutto un fioccare di celebrazioni: le sue buone azioni, le sue vittorie, le sue magie calcistiche, il suo esser generoso verso chi era stato meno fortunato di lui. Evitiamo di fare di Maradona un santino. Non lo è stato. E se lo fosse stato, beh, non sarebbe diventato Maradona. Tante volte, troppe, si fa uso in letteratura della coppia genio- sregolatezza. Nel caso di Maradona questa coppia però non è retorica bensì storia. Biografia. Un po’ come per quel grande attore alcolizzato inglese del 1800 Edmund Kean, tanto amato dal nostro Vittorio Gassman che lo portò in scena a teatro e al cinema, scrivendoci sopra un libretto interessante dal titolo “O Cesare o nessuno” il cui ritornello in rima faceva più o meno così: «Uomo, cos’è la tua felicità? / Un’ombra che ti fugge / un’ombra appena / già cade il colpo e non sentì la pena / poi non resta che bere e bere a lungo». Kean morirà giovane, ben più giovane di Maradona, prima dei 50 anni, risparmiandosi un declino che comunque era già incominciato. Perché il vizio chiede sempre un prezzo alla fine. È spesso il prezzo del mito, perché quando si arriva, da uomini, troppo vicini agli Dei (e Maradona è stato anche la ‘Mano de Dios’ nella partita contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986) si rischia prima o poi di cadere rovinosamente. Ha detto una volta Diego Armando Maradona: «Io sono la mia colpa e non posso rimediare». Con quel suo sguardo malinconico, da ragazzo argentino, anche quando vinceva, vinceva e vinceva. Perché il declino, vigliacco, ferisce il genio ma non cancella la sregolatezza. George Best, il calciatore inglese che come Maradona era avido di vita (e con il vizio del bere) quando a fine carriera – in California, nella sua stagione ai Los Angeles Aztecs – ospitava alcuni amici nella propria villa, a pochi passi dal mare, rispondeva così a chi gli chiedeva della spiaggia sull’Oceano: «Non sono mai stato in spiaggia, per arrivarci dovevo passare davanti a un bar e mi sono sempre fermato prima di raggiungere l’acqua».   di Massimiliano Lenzi

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